Quando il “coso” non può essere una borsa (su un caso di sanzione disciplinare ad un avvocato linguacciuto)

Quando il “coso” non può essere una borsa (su un caso di sanzione disciplinare ad un avvocato linguacciuto)

CORTE DI CASSAZIONE – SS.UU. – 24 settembre 2010 n. 20160 – Pres. Carbone – Rel. Sangiorgio – M.L. (avv. Grimaldi) c. Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, C.N.F. ed altro – (Conferma CNF 27 novembre 2009).

 

1.- Avvocato – Procedimento disciplinare – Accertamento sulla materialità dei fatti – Sindacabilità in sede di legittimità – Esclusione – Fattispecie.

 

1.- In tema di procedimento disciplinare (nella specie, a carico di un avvocato) è insuscettibile di ulteriore valutazione in sede di giudizio di legittimità l’accertamento compiuto dal giudice disciplinare in ordine alla materialità dei fatti contestati all’incolpato, essendo precluso alla Corte di cassazione il riesame dei fatti e delle risultanze istruttorie, la cui valutazione spetta esclusivamente all’organo giudicante disciplinare. (Nella specie è stata ritenuta legittima la sanzione della censura irrogata ad un avvocato romano che aveva rivolto ad una collega, all’interno della cancelleria del Tribunale, una espressione – che aveva provocato reazioni indignate tra i presenti – ritenuta contrastante con i doveri di probità e decoro richiesti all’avvocato, atteso che il Consiglio dell’Ordine, nell’irrogare la sanzione, aveva addotto una congrua e logica motivazione circa la responsabilità del professionista per il suo comportamento, in virtù della natura della predetta espressione usata – sostanziata nella seguente frase: “Scusa collega ti dovrei togliere quel coso che ti ho lasciato prima in mezzo alle gambe”, tenendo conto che  secondo l’incolpato il termine “coso” si riferiva alla propria borsa poggiata in terra – giudicata impudicamente licenziosa oltre ogni limite di buona educazione).

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