Orgoglio Capitale

lettera colleghiCinque marzo duemilasedici. Il Commissario straordinario di Roma Capitale, (mal) consigliato da qualche suo collaboratore (non in buona fede), assume che l’incarico di Capo dell’Avvocatura comunale sia “scaduto” (come fosse una sorta di yogurt): ed indìce una selezione, riservata ai legali interni in possesso del titolo di cassazionista, allo scopo di procedere ad un nuovo conferimento.

Decisione compresa da pochi (e che fa scaturire più di una domanda), anche perché assunta a poche settimane dalla scadenza della gestione commissariale medesima. Una decisione strumentalizzata da certa cattiva e superficiale stampa (un articolo di un quotidiano titola maldestramente “Tronca licenzia Murra”) alla ricerca continua di sensazionalismi a basso costo.

Solo in questi giorni sono venuto a conoscenza di una iniziativa, a me ignota ed assunta a mia completa insaputa, presa da un nutrito gruppo di dipendenti amministrativi in servizio presso la stessa Avvocatura comunale.

Con nota datata 10 marzo 2016, infatti, ben 45 colleghi (non facenti parte del ruolo legale), hanno preso carta e penna e si sono rivolti allo stesso Commissario, con una concisa ma stringente lettera, non solo per chiedere i motivi (reconditi) della sua decisione ma, soprattutto, per tentare di farlo recedere da una improvvida pensata.

Come anticipavo, un gentile collega dell’Ufficio di Gabinetto mi ha ora fornito copia di quella missiva che costituisce un unicum, una iniziativa che non ha precedenti nella storia non solo dell’Avvocatura capitolina, ma finanche dello stesso Comune della città Capitale d’Italia. Una cosa mai vista prima. Del resto, la stessa decisione del Commissario era anomala.

Non è assolutamente “normale”, cioè, che un cospicuo numero di dipendenti pubblici prenda le “difese” del proprio Capo, tessendone le (immeritate) lodi ed illustrando le ragioni dell’errore insito nella scelta commissariale.

Il Capo di un Ufficio, di solito, è (al massimo) tollerato, specie quando la sua direzione porta a far lavorare di più il personale coordinato: il Capo, insomma, difficilmente è “amato”.

Il contenuto della lettera in parola è, testualmente, il seguente:

“Siamo un gruppo di dipendenti comunali, in servizio presso l’Avvocatura capitolina, rimasti sbigottiti ed increduli quando, venerdì scorso, si è diffusa la notizia che si è avviato un interpello per il ‘conferimento dell’incarico di Capo’, del nostro ufficio.

Vorremmo semplicemente rappresentare che questo incarico è già svolto in modo esemplare dall’attuale Capo dell’Avvocatura, sulla cui preparazione professionale, abilità gestionale, instancabile energia ed infine sulla cui assoluta onestà nessuno nutre dubbio alcuno.

Noi siamo i primi testimoni del grande impegno che ci è stato chiesto di assumere, ogni giorno dal nostro capo, il quale è stato da subito animato dal desiderio di far sì che l’Avvocatura capitolina offrisse un servizio sempre migliore – di qualità e quantità – all’Amministrazione e, questo, grazie alle sue indiscusse abilita professionali, all’altissimo bagaglio di conoscenze  che fanno parte del suo patrimonio culturale, oltre all’amore sconfinato che egli nutre per l’Avvocatura capitolina di cui, come primo protagonista, tesse continuamente le lodi e della quale è anche il migliore conoscitore storico.

Ecco perché non riusciamo a comprendere le ragioni dell’interpello, che peraltro giunge a soli due mesi dal termine di una gestione amministrativa che ha comunque carattere straordinario.

Siamo convinti che in un momento così delicato per l’Amministrazione capitolina e, di riflesso, per il nostro ufficio, un cambio al vertice non solo potrebbe essere assolutamente privo di qualsivoglia effetto positivo, ma risulterebbe altamente destabilizzante, atto a distogliere l’Avvocatura dall’assolvimento delle sue delicatissime funzioni, con quell’impegno, quella concentrazione e quella professionalità che l’hanno sempre contraddistinta in questi anni.

Per quel che conta, senza investire interessi sindacali, politici o personali, intendevamo rappresentare il nostro pensiero di semplici lavoratori, orgogliosi e fieri di far parte di questa struttura”.

Oggi, a distanza di qualche mese dalla spedizione di quella missiva, il cui testo mi è stato fatto vedere solo ora, leggendo quelle righe così piene di ammirazione, così intrise di apprezzamenti e di elogi nei miei confronti, non posso non commuovermi.

E man mano che nella lettura scorrevo i nomi dei firmatari, appartenenti ai vari servizi in cui si articola l’Ufficio (dai commessi, agli impiegati, ai funzionari), mi sono come magicamente apparsi simultaneamente davanti agli occhi i loro volti, con le loro preoccupazioni, i loro sorrisi, i loro saluti quotidiani. Ho così avuto la sensazione di rivedere il loro primo giorno di lavoro al Comune, il loro timido ingresso in Campidoglio, l’approccio con l’inedito luogo di lavoro, con la felicità di aver conquistato, dopo un concorso pubblico preparato con chissà quanti sacrifici, il “posto fisso”; ma al contempo con la consapevolezza di iniziare a servire da quel momento in poi la propria città. L’orgoglio di un’Amministrazione pubblica locale è costituito dai suoi dipendenti, i migliori, quelli che non guardano l’orologio, quelli che non esitano a combattere perché si raggiungano i risultati in termini di miglioramento dei servizi resi alla collettività, quelli che non sono abituati a sputare nel piatto in cui mangiano. Che alla sera, rincasando, hanno la coscienza a posto, convinti di aver portato il proprio contributo di onestà e laboriosità alla causa del loro Ente (da chiunque questo sia amministrato).

E non c’è nulla di meglio, per un dirigente, nell’apprendere che il personale che egli guida guarda al proprio Capo come ad un esempio, ad un leader: anche se costui chiede sacrifici, impegno, studio e dedizione continui, senza sosta. E pure se egli ha un carattere apparentemente burbero, poco incline ai complimenti plateali ed all’ipocrita compiacimento.

Poco importa, allora, che la “selezione” voluta dal Commissario si sia conclusa (due mesi dopo) con la conferma di quell’incarico: quel che rileva, invero, è l’attestazione di stima e la considerazione che – appunto per la prima volta – quel personale (che notoriamente non ama esporsi in prima persona, vuoi per le possibili “ritorsioni” cui potrebbe andar soggetto, vuoi per un comprensibile senso di distacco dalle decisioni dei rappresentanti politici) ha ritenuto di dover manifestare apertamente ai vertici dell’Amministrazione nei riguardi del proprio “Direttore”.

A quei colleghi, per certi versi coraggiosi e temerari, va dunque il mio sentito, spassionato ed emozionato ringraziamento, non soltanto per avermi dimostrato la propria (non richiesta) incondizionata ammirazione ma anche per aver fornito una prova di grande attaccamento all’Ufficio cui appartengono: che è stato, è e sempre sarà, anche grazie al loro impegno quotidiano, un qualcosa di “diverso” rispetto alle altre strutture dell’Amministrazione capitolina. A loro, a TUTTI loro, auguro ogni bene.

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