Gli onorari degli Avvocati pubblici ed i guadagni degli altri

Gli onorari degli Avvocati pubblici ed i guadagni degli altri

Decreto legge sulla Pubblica amministrazione: anno domini (regnante Renzi) 2014. Prende corpo la tanto attesa proposta di riforma dell’apparato pubblico spacciata alla popolazione come la panacea per ridurre i costi dell’opulenta macchina amministrativa. Tra i punti programmatici, l’azzeramento degli onorari degli avvocati dello Stato, compensi cioè che da oltre cento anni vengono erogati per legge quando le cause intentate contro l’Amministrazione erariale risultano definitivamente vinte. Gli Avvocati dello Stato hanno uno stipendio di tutto rispetto (determinato con un meccanismo che lo lega a quello dei magistrati) e ad esso si aggiungono, appunto, le cc.dd. “propine”. Esponenti del Governo sostengono che gli emolumenti complessivi siano eccessivi e, quindi, si decide di intervenire sugli onorari: azzerandoli. A sorpresa, nel corso della stesura del testo del decreto legge, la disposizione viene estesa a tutti gli avvocati degli Enti pubblici, che pure hanno un trattamento tabellare di molto inferiore a quello dei loro colleghi dello Stato. Ad esempio, la maggioranza degli avvocati degli Enti (parastato, Amministrazioni locali, ecc.), non riveste neppure qualifica dirigenziale e vanta uno stipendio oggettivamente modesto: se si decide di tagliare loro il salario accessorio (legato, appunto, alla vittoria nel giudizio), vengono ridotti al rango di meri impiegati.

L’azzeramento di questa parte della retribuzione (variabile di per sé, in quanto legata all’obiettivo della soccombenza dell’avversario) viene “propinata” (nomen omen) come una fonte di risparmio della spesa. Il che non è. Ma il punto non è tanto (o solo) questo. Il populismo però non sente ragioni e la massa esulta per la decisione di rigore. Tutti gli sciagurati profili conseguenti a questa decisione non sfiorano neppure lontanamente il pensiero dell’uomo medio. Il cui cervello è stato bersagliato, negli ultimi sei mesi, da una massiccia campagna di stampa, sullo stile del “dagli untore”, contro quelli che sono stati definiti i “paperoni” della Pubblica amministrazione.

Vediamo quali saranno le conseguenze della decisione del Governo.

1)     Lo svilimento del ruolo professionale. I professionisti di ruolo delle Pubbliche amministrazioni sono reclutati attraverso concorsi selettivi e rigorosi di secondo livello. Avvocato di un Ente pubblico, di norma, si diventa solo se in possesso non soltanto di un diploma di laurea (titolo sufficiente, ad esempio, per accedere alla carriera della dirigenza amministrativa), ma anche dell’abilitazione professionale all’esercizio della professione (conseguita dopo un altro durissimo esame). Azzerando in toto i compensi professionali – che costituiscono uno dei rarissimi esempi di vera produttività nel campo del pubblico impiego – si riducono i loro titolari al ruolo di semplici impiegati. Gli avvocati dell’Ente, che oggi non hanno orari di lavoro, che sono costretti ad aggiornarsi quotidianamente (a spese proprie), che vantano una specifica professionalità non comune – nel settore di riferimento – neppure presso il Foro libero, una volta perso il diritto agli onorari delle cause vinte non avranno più alcuno stimolo ad impegnarsi allo spasimo per spuntarla dinanzi ai Giudici. Finiranno per timbrare il loro bravo cartellino all’inizio della giornata, eviteranno di rischiare la vita con i loro scooter per arrivare in tempo alle molteplici e contemporanee udienze che li attendono, getteranno la penna sulla scrivania al termine delle mere 36 ore settimanali di lavoro, cesseranno di lavorare il sabato o nei giorni di festa anche se hanno i termini processuali che incombono. In sostanza smetteranno di sentirsi e di essere Avvocati. Non può dimenticarsi, a tal proposito, quanto affermato dalla Corte costituzionale con riferimento alla categoria dei professionisti dell’area legale degli Enti pubblici, nel senso che “è nell’aspetto professionale l’ubi consistam dell’attività e la ragione stessa del loro reclutamento” (cfr. Corte cost. 14 ottobre 1993 n. 378).

2)     Inesistenza di conflitti di interesse. Gli Avvocati degli Enti pubblici sono ontologicamente fidelizzati rispetto alla loro Amministrazione. Non potendo svolgere nessun’altra attività, si dedicano a corpo morto alla difesa giudiziale dell’Ente, spinti dal desiderio di prevalere sull’avversario al solo scopo di far trionfare l’interesse pubblico. Sono educati per definizione alla cultura dell’interesse collettivo. Non hanno conflitti di interesse e difendono l’Amministrazione indipendentemente dalla parte politica che in quel momento è titolare del potere esercitato. Valori che non è assolutamente detto che potranno essere mantenuti se, come è verosimile credere che accadrà, alla decisione del Governo seguirà la morte sostanziale delle Avvocature pubbliche.

3)     L’assenza di fenomeni corruttivi. Il dilagare della corruzione negli ambienti del pubblico impiego non riguarda mai il ruolo legale. Si inquisiscono (e si condannano) geometri, poliziotti, amministrativi, ma mai Avvocati. Anzi. Che nessuno dimentichi le conclusioni rassegnate nel documento del c.d. Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione, istituito dal Presidente della Camera dei deputati con decreto n. 211 del 30.9.1996. Il Rapporto che i componenti il Comitato (Cassese, Pizzorno, Arcidiacono) hanno redatto sul tema (si usciva dalla palude lasciava da quel fenomeno patologico noto col nome di “Tangentopoli”) è emblematico: “una delle ragioni principali della corruzione è la debolezza dell’Amministrazione, data dall’assenza o dall’insufficienza dei ruoli professionali. Essa costringe le Amministrazioni ad affidarsi a soggetti esterni per tutte le attività che riguardano l’opera di specialisti. Il rimedio ipotizzabile è che i professionisti dipendenti iscritti agli albi vanno organizzati in corpi separati, con uno stato giuridico ed un trattamento economico che consentano di attrarre personale di preparazione adeguata. Non ci si deve illudere di poter acquisire le professionalità necessarie, se non si è poi disposti a pagare il loro prezzo, né che la corruzione abbia termine, finché le Amministrazioni non abbiano superato la loro debolezza”!!

Dunque indebolire, mortificare le Avvocature interne significa rendere vulnerabile l’apparato dell’Amministrazione.

4)     La professionalità acquisita all’interno di un’Avvocatura pubblica. Quando l’Ente pubblico si dota di una propria Avvocatura, i suoi componenti tendono a fare squadra. Se i legali sono in numero adeguato, si specializzano nei diversi settori del diritto, diventando esperti molto di più di quanto non lo siano la maggioranza dei loro colleghi del libero foro, sovente costretti a saltare da materia in materia pur di non perdere il cliente: e spesso, in questo modo, i risultati possono non essere edificanti.

La soppressione del diritto alla percezione degli onorari professionali forensi è contrabbandata, come dicevo, con l’esigenza di ridurre i costi. La ragione vera, in realtà, non è affatto questa, ma ben altra. Il tentativo compiuto da parte della politica, da sempre, è stato quello di afferrare il “malloppo” del contenzioso che genera l’attività delle Pubbliche amministrazioni per esternalizzarne la gestione e ridurre i legali interni a meri passacarte. Si tratta di operazione troppo nota per poter essere mascherata. Una manovra che molti avvocati di Enti pubblici conoscono alla perfezione e che purtroppo non sempre sono riusciti ad impedire. I grandi studi legali “privati”, ridotti allo stremo dall’infinita crisi economica che affama il Paese, non aspettano altro che vedersi assegnate un po’ di cause in difesa dell’Amministrazione: in questo modo il politico di turno aumenta il suo bacino di clientela e, soprattutto, può gestire ed orientare a suo piacimento l’attività difensiva del professionista esterno che, essendo perennemente a rischio di perdere il mandato, sarà tendenzialmente incline a soddisfare le “pretese” del proprio patrono.

Il popolo queste cose le capisce a fatica, non riesce di solito ad afferrarne il senso, e bolla di corporativismo la difesa ad oltranza che la “categoria” oppone alla propria svendita. Bastano un paio di articoli di stampa, che fanno leva sulla retribuzione che deriva dagli onorari delle cause vinte, per inoculare nel lettore il sospetto che un’opposizione a questi tentativi sia frutto solo di salvaguardia di inammissibili privilegi.

Sono Avvocato di Roma Capitale, Ente che nel 2013 ha stanziato come fondo per la remunerazione dei propri legali la somma di 3 milioni e mezzo di Euro (a fronte dei 5 e mezzo dell’anno precedente: nel 2014 la legge di stabilità ha operato un’altra sforbiciata del 25%). Nel 2013 sono “entrate” 14.000 cause nuove, che vanno ad aggiungersi a quelle pendenti e generatesi negli anni precedenti (qualcosa come oltre 120.000 contenziosi vivi). Molte di queste presentano valori economici modesti, altre stratosferici: alcune di tipo routinario (com’è tipico per un Ente) tante altre inedite e connesse a provvedimenti amministrativi considerati strategici per l’Amministrazione. Ebbene, il “bocconcino” è inevitabilmente succoso ed invitante. Se si considera, come valore medio, l’importo di 3000 Euro (oneri accessori compresi) per la parcella spiccabile per ognuna di queste controversie (oggettivamente se si va dal sarto si spende di più), si finirebbe per ammettere che al termine dell’anno l’Ente è costretto a sborsare, per la sola difesa giudiziale, l’importo di 42 milioni di Euro! Si tratterebbe, all’evidenza, di un risparmio economico sicuramente innegabile (sic!), a fronte degli emolumenti che invece Roma Capitale (che presenta peraltro un bilancio un tantino in difficoltà) eroga ai suoi avvocati dipendenti. I quali, peraltro, oltre che a gestire le cause, svolgono diuturna attività di consulenza, partecipano a decine di riunioni ogni giorno, a commissioni di gare e di concorso, svolgono sovente supplenza ai loro colleghi dirigenti, sono impegnati (gratuitamente) in consigli di amministrazione di società partecipate. Tutte attività che – ove ci si affidasse all’esterno – graverebbero ancor più sulle finanze pubbliche.

Ecco, dunque, il punto. Si vuole arrivare non all’azzeramento dei compensi, ma all’annientamento delle Avvocature interne: con lo scopo di esternalizzarne le attività! Tutto qui. Semplicemente. Ed allora, però, se questo è lo scopo della “riforma” – neppure tanto recondito – che non si parlasse di risparmio economico e non si millanti la spending review.

Esistono prove inconfutabili che questo, purtroppo, sarà l’esito (incomprensibile, allo stato, dalla popolazione italiana, che plaude ai “tagli” della spesa) del provvedimento che si sta adottando.

Mi pare opportuno menzionare solo un caso specifico (che fa il paio con quello che è stato già denunciato efficacemente dalla stampa poco tempo fa e che ha riguardato proprio il mio Ente: http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/04/01/news/parcella-record-al-comune-di-roma-ma-alemanno-spesa-necessaria-1.159227). Una vicenda che se fosse universalmente nota (non solo al Presidente del Consiglio od al giovane ministro Madia, ma al Popolo italiano) indurrebbe immediatamente alla marcia indietro il Governo rispetto allo scellerato proposito che sta invece pervicacemente coltivando.

Siamo alla fine del 1997. La Regione Lazio decide di intentar causa contro un altro Ente pubblico, “reo” di aver occupato senza titolo, da anni, alcuni immobili di proprietà regionale, destinandoli a sedi di uffici (in Italia può capitare anche di questo). Con deliberazione n. 6020 del 7 ottobre la Giunta, presieduta all’epoca da Pietro Badaloni, decide di autorizzare il promovimento della causa attiva e ne affida la difesa all’Avvocatura dello Stato. Un suo valoroso componente, dopo aver inutilmente tentato un (complesso e laborioso) componimento bonario della vertenza, avvia l’azione giudiziaria notificando l’atto di citazione, che iscrive regolarmente a ruolo (RG n. 10463/03) dinanzi al Tribunale civile di Roma. Chiede la condanna al rilascio degli immobili ed il risarcimento del danno derivante dall’illegittima occupazione. Il valore della causa è elevatissimo (un centinaio di milioni di Euro), ma un Avvocato pubblico a quegli importi ci è abituato. La causa prosegue regolarmente, con le prime fasi istruttorie, quando ad un certo punto, siamo nel 2004, la stessa Giunta della Regione (stavolta presieduta da Storace), con delibera n. 31 del 16 gennaio, decide – sul falso presupposto che “l’Avvocatura generale dello Stato non ha a tutt’oggi avviato le relative azioni giudiziali richiestele” – di conferire l’incarico difensivo ad un legale del libero foro. Tanto è falso, quel presupposto, che il nuovo difensore è costretto a costituirsi in giudizio, nel processo pendente, scrivendo nel proprio (primo) atto giudiziale che va a sostituirsi al precedente difensore della Regione, che era cioè l’Avvocato dello Stato!

Il processo prosegue ed arriva ad una prima sentenza, non definitiva, n. 18456 del 28 agosto 2006, che intanto condanna il convenuto a rilasciare gli immobili. Il provvedimento giurisdizionale richiama l’attenzione del Signor Vice Procuratore Generale della Sezione regionale del Lazio della Corte dei conti, dr. Massimo Di Stefano, che apre un fascicolo nel 2009 (prot. V/389863) chiedendo espressamente “l’indicazione dell’ammontare delle spese legali che hanno gravato l’Ente convenuto”. Ma, ancora, di queste spese legali non si è sentito il peso, in quanto – come detto – il processo non si è concluso, dovendo proseguire per la definizione della (ulteriore) domanda relativa al risarcimento del danno.

La causa allora va in decisione una prima volta alla fine del 2011 (ma poi sarà rimessa in istruttoria per un supplemento di CTU) ed il difensore della Regione deposita in Tribunale una nota spese della bellezza di duemilionitrecentocinquemilaeuro (si scrive così: 2.305.000 Euro)!

Ebbene questa è la cifra che per una causa del genere – una delle tante di quella consistenza che, in verità, affollano la scrivania di un Avvocato di Ente pubblico del quale il proprio cliente ha fiducia – l’Amministrazione convenuta è tenuta a pagare se decide di affidarsi (anche a quelli che una volta erano “i minimi di tariffa”) ad un legale del libero Foro. Se avesse proseguito quel valente Avvocato erariale la cifra richiesta sarebbe stata, verosimilmente, ZERO.

Il caso è emblematico ma niente affatto isolato. Un caso di scuola, di come si gettano denari pubblici e si fanno fare lauti guadagni a terzi. E deve far pensare, il Premier, il Ministro Madia, la politica: a meno che quello di far guadagnare altri non sia, proprio ed esattamente, l’obiettivo che tutti costoro desiderano raggiungere.

11 Responses to “Gli onorari degli Avvocati pubblici ed i guadagni degli altri”

  1. Gianluca Avv. Mancini scrive:

    Assolutamente vero!!! Si tratta di una proposta di legge scandalosa. Si distrugge l’Avvocatura Pubblica, e ci si prepara a sfasciare tutto!!! Solo gli Avvocati Pubblici possono difendere davvero lo Stato. Se si privatizza, o se si rubano gli onorari degli Avvocati Pubblici, i costi per lo Stato saranno enormi, e non solo economici.
    Gli Avvocati Pubblici, ogni giorno, fanno anche consulenze di fatto gratis per lo Stato, anche su materie importantissime, e con uniformità nazionale. se distruggi tutto ciò, è come privatizzare il Parlamento!!

  2. Rolando Dalla Riva scrive:

    Caro Rodolfo,
    hai (come sempre) perfettamente centrato il problema. In momenti di difficoltà possono certo essere richiesti sacrifici a tutti e gli avvocati pubblici non dovrebbero sottrarsi a questo dovere di solidarietà. Anche perché, quotidianamente, quella stragrande maggioranza che lavora con onestà, passione e competenza per il proprio Ente, mette in pratica l’imparzialità e la solidarietà.
    Il depauperamento delle professionalità interne delle pubbliche amministrazioni produrrà effetti quando i “giovani” regnanti di oggi avranno qualche altro giocattolo a cui dedicarsi. La brevità della memoria è sempre stato un problema di questo paese.
    Rolando Dalla Riva.

  3. Giovanni Di Vincenzo scrive:

    Uno Stato che non sa tutelare i propri Militari all’estero, volete che si preoccupi dei propri Avvocati ?

    Un ultima considerazione il provvedimento del Governo, sobillato anche dalle Compagnie Assicurative ed organizzazioni datoriali (secondo me) è contro il risparmio di spesa perché l’azzeramento degli onorari comporterà l’immediata perdita dell’iperf sugli emolumenti, ma forse guadagneranno di più sulle fatture di Altri…..

  4. Giantony Ilardo scrive:

    Ahimè, purtroppo la storia dei tentativi di esternalizzazione è ben nota, quanto vera, da anni.
    Non so, tuttavia, se, in questo caso, i nostri lungimiranti, rivoluzionari governanti ci abbiano realmente pensato.
    Certo, mancato l’obiettivo di ridurre in quattro e quattr’otto il cuneo fiscale di due cifre, sbandierato alla Camera all’atto della fiducia, è possibile che i nuovi mastri della politica nazional popolare abbiano pensato a qualche misura alternativa che, se nel medio termine non porterà alcun beneficio alle casse dello Stato (ed anzi potrebbe costargli un bel po’ di quattrini, come acutamente osservato dall’autore dell’articolo), quantomeno, nell’immediato, assicurerà un populistico consenso fondato (è amaro doverlo ammettere) sull’invidia di classe (di trilussiana memoria) di quanti, incapaci a volare perché galli, trovano ingiusto che le aquile se ne stiano su in montagna, mentre loro sono costretti giù nel cortile.
    E così, dagli all’untore!, mentre il volgo (di manzoniana memoria) applaude.
    Anch’io, a questo punto, voglio buttarmi nel populismo, forse nella speranza che, non solo le aquile, ma qualche gallo comprenda, prima che la Nazione, già sfaldata dalla crisi, si sfasci in un clima di diffidenza sociale, e mi chiedo una cosa sola: visto che si pensa di rivoluzionare il Paese tagliando privilegi (o presunti tali), come mai, nella rivoluzionaria legge, non si toglie neppure un centesimo dalle tasche dei nostri beneamati rappresentanti?

  5. giovanna scrive:

    non comprendo quale sia la differenza tra un avvocato e un prof che gudagna solo 1600 euro al mese.Anche il prof per vincere un concorso deve sudare e assumersi la grande responsabilità di preparare la futura classe dirigente e per giunta a quel prezzo.Anche ai prof sarebber gradite addirittura 16000 euro di propine oltre allo stipendio ma si accontentano di altro.Facciano lo stesso isignori avvocati dell Stato altrimenti se ne vadano a casa.

  6. Alfredo Ludovico Ernesto Pischedda scrive:

    Caro Collega,
    Nella sostanza concordo con le Tue considerazioni, che, come di consueto, centrano il problema.
    Devo però rilevare che nell’ambito della Avvocatura pubblica vi sono a tutt’oggi notevoli disparità di trattamento, che a mio giudizio hanno contribuito ad indebolire l’Avvocatura pubblica al suo interno.
    Poichè non è mai stata introdotta una disciplina uniforme per l’Avvocatura pubblica, non risulta di conseguenza rispettato il principio fondamentale “stesso lavoro, stessa retribuzione”.
    Infatti, grandi sono le differenze in busta paga a seconda se si lavora presso l’Ente pubblico “X” invece che presso l’Ente pubblico “Y” e se si è avvocati dirigenti o semplici avvocati funzionari.
    Vi sono infatti Enti che corrispondono ai propri dipendenti avvocati gli onorari e altri no; ad alcuni è rimborsato il contributo per l’iscrizione all’albo speciale ad altri no, ecc..
    Io per esempio, avvocato da oltre 20 anni, cassazionista, appartengo alla schiera degli avvocati pubblici non dirigenti, non ricevo un euro di onorari dal mio ente di appartenenza, e ricevo una retribuzione impiegatizia piuttosto modesta.
    Quindi, come potrai comprendere, pur essendo pienamente solidale verso i Colleghi colpiti dal provvedimento di Riforma della P.A., quest’ultima mi lascia personalmente abbastanza indifferente.

  7. Danilo scrive:

    Da adesso chi è soccombente in giudizio contro una pubblica amministrazione non pagherà onorari E spese processuali ma sostanzialmente una tassa alla pubblica amministrazione; l’ammontare di questa tassa è decisa al momento dal giudice!!! Non mi pare legittimo tutto ció

  8. Ultimo baluardo scrive:

    Rispondo al prof. Universitario. Si è mai svegliato di notte nel terrore di aver dimenticato una scadenza, oppure di aver detto ai figli che il week end si passa a casa perché il genitore deve completare un atto urgente in scadenza? Il problema degli italiani e ‘ quello che si guarda troppo nel piatto altrui. Io esigo che sia riconosciuto il nostro ruolo e la nostra peculiarità, così come un ruolo e una funzione diversa hanno i prof. E ‘ una questione di scelta ed io ho scelto di fare l’onorata professione di avvocato

  9. Christian Lo Scalzo scrive:

    Non per scadere nell’invidia di classe ma i professori non sono assunti per concorso (fanno un esame di abilitazione), lavorano 18 ore alla settimana e stanno in ferie (retribuite) da metà giugno al 31 agosto. Lavorino 45 ore a settimana e si accontentino di un mese di ferie l’anno. Altrimenti se ne vadano a casa.

  10. Christian Lo Scalzo scrive:

    Ovviamente mi riferivo agli insegnanti medi e superiori.

  11. Christian Lo Scalzo scrive:

    Come, credo, la semi-anonima giovanna.

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