Ca Priolo

Ca Priolo

Ho avuto di recente l’altissimo onore di essere l’oggetto di un interessante articolo scritto dal giornalista Carlo Priolo su “L’Opinione” dal titolo “Un avvocato a posto fisso”. Quando si occupano posti di rilievo, nella società, non bisogna stupirsi di essere destinatari dell’attenzione di osservatori dalla buona penna e, quindi, occorre da un lato abituarcisi e dall’altro evitare di prendersela più di tanto se costoro appaiono caustici nei propri commenti. Del resto se non sei nessuno, nessuno si occupa di te. Priolo è un giornalista acuto, graffiante, un po’ in là con gli anni ma non per questo rimbambito o superficiale.

Il suo pezzo, che è dedicato tutto a me, è scritto con inchiostro al vetriolo, intriso di fatti (taluni peraltro assai datati) tra loro disparati e non uniti, nel percorso espositivo, da un nesso logico particolare, di notizie orecchiate qua e là esposte con un linguaggio giornalisticamente impeccabile: tuttavia il lettore sprovveduto potrebbe essere tentato dal chiedersi il motivo di un interesse così morboso nei riguardi della mia persona, di una tanto elevata concentrazione nel redigere un lungo pezzo, su un quotidiano prestigioso, il cui bersaglio è un mero avvocato pubblico.

L’arzillo vecchietto, infatti, di norma prende di mira persone di grande fama (Floris e Giannini, ad esempio: “due personaggi che non sarebbero in grado di superare un test per l’accesso ad un master di economia o di finanza, che l’unico argomento che trattano da decenni e che conoscono nei dettagli è la vita privata di Berlusconi”), o comunque è intento ad occuparsi di gente assai nota (in ordine sparso, come direbbe Gep Gambardella: Santoro, Travaglio, Scalzi, Annunziata, Formigli, Valentini, Beatrice Borromeo, Del Debbio, Carfagna, Serracchiani, Rodotà, D’Alema, Veltroni, Fazio e Littizzetto, Fini, Marino, e chi più ne ha più ne metta). E’ quindi scontato che venga da domandarsi la ragione di tanto interesse verso uno sconosciuto come me.

L’articolo, come dicevo, si dipana sciorinando fatti eterogenei senza un apparente legame: alcuni, peraltro non noti persino a me, che sono il tema centrale del pezzo (ad esempio non sapevo neppure io, tanto per dirne una, di essere nato a Tor Bella Monaca, “una frazione di Roma Capitale, all’esterno del Grande raccordo anulare, su una zona ondulata, solcata dalla marrana”). Ma non si finisce mai di imparare, nella vita.

Ma, nel caso in cui ci si volesse sforzare di dare un ordine sistematico al ragionamento svolto dal Priolo (che non sarà nato in periferia, ma pur sempre il giorno di San Martino), direi che gli argomenti affrontati potrebbero essere ricondotti sostanzialmente a due: l’essere io un Avvocato dipendente di Roma Capitale e l’aver ricoperto, un tempo, il ruolo di Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Tutto qui (si domanderebbe giustamente il lettore animato da buon senso)? Si, direi tutto qui.

Allora, a questo punto, i dubbi sulle motivazioni di un articolo così pungente semmai si alimentano e non scemano. E, come al solito, sempre il lettore sprovveduto potrebbe esser assalito dal sospetto che dietro a certi strali si possano nascondere questioni di carattere personalistico. In un Paese come il nostro spesso gli opinionisti (e Priolo, in quanto ospitato da “L’Opinione”, è sicuramente tale, di nome e di fatto) sono animati da ragioni private quando decidono di mettere qualcuno nel mirino.

Vediamo.

La parte dell’articolo, che mi riguarda in qualità di “demiurgo del diritto” in quanto Capo dell’Avvocatura capitolina, inizia con il discorso che concerne la retribuzione di cui godono i legali pubblici (argomento in questi ultimi cinque mesi affrontato da almeno sei quotidiani nazionali in connessione con i sistematici attacchi lanciati contro la burocrazia cieca della Pubblica amministrazione: dunque, un tema più che trito): il mio compenso (come quello dei miei colleghi comunali) sarebbe pari a “nove volte quello di un avvocato tra i 35/40 anni che consuma l’asfalto tra gli uffici del Giudice di Pace e il Tribunale”. Se è per questo, anche l’importo delle tasse che su quel compenso l’Amministrazione trattiene (alla fonte), e con le quali si consente a taluni italiani di oziare, sarebbe di gran lunga superiore, da solo, a quello che dichiarano al fisco (come reddito) molti professionisti (magari gli stessi consumatori d’asfalto). Un cronista attento ed onesto intellettualmente si sarebbe periziato peraltro di aggiungere che nell’ultimo biennio quegli stessi avvocati capitolini (che secondo Priolo “godono di automatici ed illegittimi benefit ogni volta che, svolgendo il lavoro per il quale vengono pagati, riportano una vittoria in una causa nella quale il Comune è parte”) si sono ridotti la retribuzione del 55%  (pur essendo, le cc.dd. “propine”, davvero l’unica forma di incentivazione legata alla produttività, istituto pressoché ignoto nel pubblico impiego). Ed invece – e qui si scopre la prima ragione “personale” dell’articolo – il giornalista non ce la fa a trattenere una confessione: “da più di sei anni chi scrive, avendo vinto delle cause contro Roma Capitale nel 2006, 2007 e 2008, deve avere dall’Avvocatura capitolina la modesta somma di 2.338,58 euro”. Capperi, ecco svelato cosa “move il mondo e l’altre stelle”: altro che alti ideali e fulgido giornalismo indipendente, altro che penna sacrificata al superiore senso civico! Cioè si scopre che il Priolo, oltre a fare il giornalista d’inchiesta, patrocina cause (risultando essersi iscritto all’Albo degli avvocati alla soglia dei sessant’anni) e vanta crediti professionali (le propine) nei riguardi dell’Amministrazione dalla quale io dipendo. I dubbi del lettore sprovveduto (che pure sa bene che i crediti ante 2008 verso il Comune di Roma sono, per legge, inesigibili) iniziano a dissiparsi. Una questione, dunque, di mera, volgarissima pecunia. Tutto qui? Tutto qui. E si scomoda un giornale prestigioso per una vicenda oggettivamente modesta e così egoisticamente personale? Parrebbe di si. Transeat.

La seconda parte dell’articolo riguarda la mia pregressa (e mai più replicabile) esperienza quale Consigliere dell’Ordine forense capitolino. L’incedere è elegante: “poi il rap del Murra pompa una dura lotta contro il personale dipendente: offese gratuite, supponenza subliminale, richiami, provvedimenti disciplinari a gogò, fino a minacciare e far sorvegliare alcuni dipendenti da un investigatore privato pagato con i soldi dei contributi versati dagli avvocati iscritti all’albo di Roma”. Il pittore dipinge così un quadro a tinte fosche, mostrandomi come il cattivo dei film di Sergio Leone, una sorta di sceriffo dalla barba incolta bramoso di esercitare il potere su alcuni dipendenti dell’Ordine, impauriti dagli speroni luccicanti e dalla colt fumante. Personalmente ho sempre ritenuto che i dipendenti dell’Ordine degli Avvocati di Roma siano persone per bene e costituiscano una risorsa preziosa per l’Istituzione (spesso anche più utili ed esperti di taluni Consiglieri): tanto che a mia memoria sono stato l’unico rappresentante della storia dell’Ordine a dedicare loro (sul “Foro Romano n. 5/6” del 2010, il “Notiziario” dell’Ente) un editoriale di elogio.

Il mio ruolo di Consigliere Segretario, deputato alla gestione delle risorse umane delle quali si avvale l’Istituzione, tuttavia mi imponeva il rispetto della normativa vigente. La c.d. “legge Brunetta” non lasciava discrezionalità sui provvedimenti da assumere nei riguardi del pubblico dipendente responsabile di violazioni alla normativa, alle regole interne, al codice etico. In due anni ho sollevato 3 (tre, non trenta) contestazioni disciplinari, doverose e obbligatorie, che hanno dato luogo a sanzioni miti. Poi c’è stato il caso del dipendente (uno, uno solo) cui allude il giornalista. E’ un caso del quale ho parlato altrove e quindi non è necessario soffermarcisi più di tanto. Si trattava di un dipendente dell’Ordine titolare di un ristorante, che durante l’orario di lavoro al Consiglio riteneva normale dedicarsi alla sua attività imprenditoriale: e mentre maturava lo stipendio (pagatogli dagli iscritti) dirigeva i propri camerieri. I suoi colleghi, delle assenze di costui (che peraltro usava dileggiarli proprio perché più facoltoso di loro grazie ai proventi di quell’attività), erano esasperati. Scoperto, grazie a prove inconfutabili, nella truffa all’Ente, ha rassegnato le dimissioni. Che, forse, il giornalista-avvocato Priolo (amico fraterno di quel soggetto) all’epoca ritenne improvvide ed avventate. Ma tant’è.

Per quella storia scopro, grazie alla fervida fantasia del nostro arzillo scrittore, che sarei stato “il padrone delle ferriere, che sciabolava a destra ed a manca contro inermi padri di famiglia, generando allarme e paura, offendendo la dignità di onesti e probi lavoratori”. L’inerme padre di famiglia, l’onesto e probo lavoratore, sarebbe in altri termini quel suo protetto, che la mattina timbrava il cartellino a Piazza Cavour e poi si squagliava per andare a mettersi alla cassa del suo ristorante…. Dunque, anche su questo versante, come sul precedente, il pepato articolo mostra il lato dell’interesse personale dell’autore. Viviamo in Italia, non ci si può meravigliare di ciò.

L’articolo si chiude con l’ultima goduriosa stilettata, legata ad un fatto che in teoria il firmatario non dovrebbe conoscere (“si narra che attualmente il prode Murra si trovi coinvolto in un procedimento disciplinare davanti al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Da incolpante a incolpato”). Ma, a dire il vero, il fatto è invece noto perché son stato io a divulgarlo. Su questo sito detti conto, infatti, di essere incappato in una vicenda amministrativa dai contorni ambigui, legata all’equivoco contegno tenuto da due agenti della Polizia Municipale, che definii “vigili urbani”. Un’associazione di categoria presentò un esposto all’Ordine degli Avvocati, ritenendosi offesa da quell’epiteto. Un solerte Consigliere dell’Ordine, aprì un fascicolo e, nel mentre ignorava casi di avvocati che rubavano denari ai loro clienti o li circuivano per estorcergli beni immobili, decise di sottoporre il caso al Consiglio per mandarmi a giudizio disciplinare. Priolo ben conosce il veleno che da decenni caratterizza il mondo della politica forense romana (dal quale sono uscito oltre due anni fa) e dunque sa perfettamente che quella decisione costituisce una rappresaglia: ma omette, ovviamente, di dirlo, altrimenti il suo pezzo non farebbe lo stesso effetto. Come omette, del resto, di riferire (pur sapendolo, naturalmente, atteso che egli frequenta abitualmente gli uffici consiliari di Piazza Cavour dove distribuisce volantini con le copie dei suoi articoli, come fa pure  – pateticamente – in Tribunale) che quel fascicolo non è più sui tavoli dell’Ufficio di disciplina dell’Ordine di Roma da tempo.

Sarà, forse, che di rappresaglie e di ritorsioni si intendono in molti: per primi coloro che sono abituati ad occultare od a distorcere la verità.

Di solito articoli come quelli scritti da Priolo non restano isolati, ma danno vita a vere e proprie saghe del giornalismo dè noantri. L’articolista, cioè, inizia a scavare nella vita della vittima, assume informazioni, prepara dossier, tenta in tutti i modi di reperire notizie che avvalorino la sua prima intenzione di creare “l’inchiesta” scandalistica. Fatica sprecata, in questo caso. Se, infatti, l’illustre signor Direttore de “L’Opinione” intendesse continuare ad assecondare le irrefrenabili smanie del nostro veterano, ospitandone i fantasiosi racconti sulle pagine della prestigiosa testata fondata da Camillo Benso, non dovrà penare tanto, potendo io stesso fornire qualche esempio di vicende dove ho combattuto i tornaconti personali di faccendieri da quattro soldi, rintuzzandone le richieste di favori ed utilità. Altri giornalisti, del resto, occupandosi delle varie strutture che in passato ho avuto la fortuna di dirigere, ne hanno dato conto con serietà e senso della verità: ma, quelli, evidentemente, non facevano commistioni tra l’interesse privato e la loro professione.

 

 

 

2 Responses to “Ca Priolo”

  1. Gennaro Leone scrive:

    Caro Rodolfo, dalla lettura della “risposta” che hai dato si capisce che il livore di Priolo deriva dal fatto che non lo hai voluto, quando eri all’Ordine, “accontentare”. Ora si spiega anche perchè in occasione del ballottaggio elettorale del 2012 omise volontariamente il tuo nome dalla lista della quale pur faceva propaganda. Sei stato fin troppo elegante e signore, a mio parere: chi persegue, utilizzando strumenti pubblicistici, interessi privati, si merita di essere sconfessato. Continua così.

  2. Fabiana Cesaretti scrive:

    Questa mattina, entrando in tribunale, ho avuto lo spiacevole inconveniente di trovarmi tra le mani uno dei tanti volantini, aventi ad oggetto l’articolo in questione. Conosciuta l’identità del “bersaglio” di quest’ultimo, non ho protratto la mia lettura oltre l’ottava, forse, decima riga.
    Lascio quelle parole a chi, purtroppo, non ha mai avuto il piacere, l’onore, il privilegio, il vanto di conoscere l’Avvocato e, soprattutto, l’Uomo Rodolfo Murra.
    Chi, come me, invece, ne ha potuto apprezzare la professionalità, la dedizione, la serietà, la competenza, il sapere, i valori ed i principi, sa che, non saranno certo quattro righe, a scalfire e denigrare chi, della Professione, ne ha sempre fatto un “SERIO” stile di vita!!

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