LIBERTÀ …. DI STUDIARE

LIBERTÀ …. DI STUDIARE

rebibbiaMercoledi 18 dicembre, ore 9.50 in punto. Aspetto che arrivino i due colleghi che comporranno la Commissione d’esame, sul marciapiede antistante l’ingresso principale del “Nuovo Complesso”, in Via Majetti. Il cielo è di un azzurro brillante, il sole non ha ancora raggiunto la strada e le pozzanghere sono caratterizzate da uno strato di crosta gelata superficiale. Fa freddo. Ma in compenso il tempo è bello.

I miei colleghi arrivano, accompagnati da un giovane uditore che si è aggiunto a loro. Ci salutiamo. Al primo corpo di guardia esibiamo la documentazione rilasciata dall’Università che permette alla Commissione di fare il proprio ingresso nel penitenziario. Gli agenti telefonano agli Uffici amministrativi e ci chiedono di attendere. Passa qualche minuto e scende dal piano superiore una funzionaria che verifica la documentazione. Parrebbe tutto a posto. Si aggiunge, in quel momento, a noi, Cosimo, che essendo da pochi giorni agli arresti domiciliari ha ottenuto dal magistrato di sorveglianza l’autorizzazione a rientrare in carcere proprio per sostenere l’esame insieme al gruppo dei detenuti. E’ visibilmente emozionato.

Al secondo corpo di guardia la verifica dei documenti e dei nomi dei soggetti legittimati è particolarmente attenta e scrupolosa. Io conosco, oramai da mesi, gran parte degli agenti che fanno servizio lì nelle ore pomeridiane, ma l’operatore che ci si para davanti, ora, no. Chiede perché i componenti la Commissione risultano essere tre, nella documentazione che esibiamo, mentre in realtà lì davanti a lui siamo quattro persone. Facciamo riferimento all’uditore, indicandolo con la mano, il cui nome, pure, doveva essere inserito nel permesso ma che, a causa di uno dei miliardi di disguidi imputabili ai dipendenti dell’Università (uno di loro ha pure la qualifica di “manager”…: sic!), non risulta essere ivi compreso. L’agente inizia, con prosopopea (e con cadenza idiomatica fortemente meridionale), tutta una noiosa ed articolata filippica, basata sui suoi poteri di pubblico ufficiale, con la quale ci vuol dire in sostanza che l’uditore non può entrare. Ci congediamo da quest’ultimo, che resterà ad attenderci su una panchina dove nel frattempo è giunto un raggio di tiepido sole, pregandolo di custodirci telefoni e borse, evitandoci così l’uso degli appositi armadietti.

Facciamo, finalmente, dopo una buona ventina di minuti, ingresso in carcere. Attraversiamo, in sequenza, i soliti (per me) 4 cancelli interni, presidiati tutti da agenti di polizia penitenziaria che ci salutano ossequiosi, ed arriviamo vicino al “G8”, braccio dove sono reclusi gli studenti che oggi sosterranno l’esame. La sala dove ci aspettano è la solita, dove in questi mesi ho tenuto i seminari. Oggi, entrando, noto qualcosa di diverso. I tavoli sono disposti in modo molto più ordinato, la sala è ancora più pulita e linda del solito, c’è un assetto assai più lineare delle cose. Gli studenti ci attendono si presentano vestiti bene, rasati, educatissimi e sorridenti, ma visibilmente trepidanti. Giampaolo si offre subito per il caffè: “quello fatto in carcere, si sa – dice ai due miei colleghi, forse anche per rompere il ghiaccio – è strepitoso”. Sui tavoli ci sono dei biscottini, messi su dei vassoi in maniera estremamente ordinata: “sono dei mostaccioli siciliani, che mi hanno portato ieri”, dice Peppe, un po’ orgogliosamente. Ed inizia tutta una discettazione sull’etimologia del termine “mostazzolo”, nome di dolce che seppure è fatto col mosto del vino nulla avrebbe a che fare con quella sostanza.

Dopo i convenevoli (continuo ad osservare con discrezione, ma attentamente, i miei due colleghi, per vedere se possano palesare un qualche imbarazzo per il luogo ed i suoi abitanti, che tuttavia non scorgo) la Commissione si siede ed il presidente inizia a sistemare la documentazione burocratica. A lato del tavolo della Commissione, a debita distanza, prendono posto tutti gli altri detenuti del “gruppo universitario” che, però, sono ancora agli inizi del percorso di studi. Vicini a loro un paio di volontarie ed un magistrato in pensione che, alternandosi con me, in questi mesi ha fatto da insegnante. C’è trepidazione. Ma un silenzio assoluto.

Giampaolo chiede che possa essere lui il primo ad “andare sul patibolo”, volendo porre fine ad un’ansia bruciante. E sia. Inizia alla grande, poi c’è una leggera flessione sulla seconda domanda, infine si riprende. Bellissimo esame. Voto adeguato e, da lui, persino insperato.

Dopo di lui è la volta di Cosimo. Il quale è davvero molto emozionato e desideroso di non deludermi. Quest’ultimo sentimento è anche eccessivo, se devo essere sincero, e contribuirà a non fargli prendere il voto che avrebbe invece meritato per l’impegno profuso negli studi. Sarà, poi, che da un mese è agli arresti domiciliari e si è quindi perduto le ultime lezioni, quelle in cui ho cercato di impartire la tecnica concreta sul “metodo di risposta”. Ad ogni modo è soddisfatto anche lui, almeno si è liberato di un grande peso: la materia del diritto processuale civile è giustamente considerata da tutti un vero e proprio spauracchio.

Quindi tocca a Totò, il grande Totò. Più in apprensione per l’esito dell’udienza che ha avuto ieri (ha chiesto l’affidamento ai servizi sociali) che non per l’esame in sé. Ha studiato, si è impegnato a fondo, ha riempito il manuale del Picardi con una marea di glosse (rigorosamente a matita). Indossa, come sempre, il cartellino di riconoscimento appeso al collo, tenuto con quel solito nastrino tricolore. La prima domanda, postagli dal Presidente, è sul regime della nullità degli atti del processo: va alla grande, con una esposizione sistematica brillante ed approfondita. Il Presidente si complimenta ed osserva ad alta voce che se all’appello di dicembre, che si è svolto in Facoltà (con esiti piuttosto penosi), gli studenti “liberi” avessero affrontato lo studio con la serietà che stanno dimostrando gli studenti “detenuti” avremmo avuto ben altro risultato. Dal lato degli uditori si aprono sorrisi e si ascolta qualche commento, bisbigliato, di compiacimento.

Totò prosegue l’esame sempre con grande sicurezza, incappando solo in un paio di sbavature. Il voto finale, collegiale e condiviso, è 27. Bravo!

Sulla sedia già calda si siede, allora, Peppe. Il quale mi sembra un po’ disorientato, confuso, atteggiamento ovviamente frutto dell’adrenalina. Inizia così così, ma poi si riprende molto bene. Ad un certo punto scherza anche, al limite del cazzeggio, ma senza irriverenza. Occhi sempre molto vispi, loquacità simpatica con quella forte inflessione siciliana. Mi aveva promesso che mi avrebbe fatto fare bella figura. Ed ha mantenuto l’impegno. Conclude molto bene e, tutto sommato, si piazza tra i migliori.

Infine, l’ultimo, Luciano, il romeno. Il Presidente lo invita a mostrare il tesserino di riconoscimento. Operazione che forse lo imbarazza un po’ e gli fa perdere un pizzico di concentrazione. Luciano in Romania, prima di essere arrestato qui in Italia, aveva sostenuto svariati esami del corso di laurea in giurisprudenza. In questi mesi in cui ho seguito il gruppo, mi è sempre apparso – pur con quel suo modo taciturno e schivo – il più geniale tra gli studenti: mai un intervento fuori posto, poche parole ma sempre assolutamente giuste, concrete. Ha mostrato sempre un grande intuito per la procedura civile. Durante l’esame dà la sensazione di sapere molto più di quello che dice, e che faccia fatica a trovare le parole giuste (proprio sul versante idiomatico della lingua italiana) per esprimere tutto quel che sa. La Commissione se ne avvede e non affonda. Anzi. Tuttavia l’esposizione non è così brillante come io e lui stesso (ma anche tutti gli altri) ci saremmo aspettati. A riprova che un esame non costituisce necessariamente (in un senso o nell’altro) la conferma di uno studio completo ed approfondito: ti può andar bene ovvero male, puoi essere più o meno fortunato, ma non sempre (anzi, oserei dire quasi mai) l’esito è conforme al grado di preparazione guadagnato.

Tuttavia anche Luciano supera. Nessuno ha conseguito il minimo, quel “18 politico” che – pure – durante i miei seminari qualcuno scherzosamente avrebbe auspicato, sfruttando (magari tentando di impietosire i commissari) la propria condizione di recluso.

Compiliamo i moduli indispensabili per far ottenere la registrazione dell’esame; le firme dei candidati, poi a seguire quelle dei Commissari. Assaggiamo un paio di mostaccioli, mentre i compagni di corso si congratulano con coloro che hanno superato il durissimo esame. Ora i sorrisi sono più sereni, non più di circostanza come forse potevano essere all’inizio. I ragazzi sono sollevati, il “vecchio” Achille li osserva con sguardo paterno e fiero.

La Commissione si accomiata, i detenuti salutano deferenti e ringraziano. A me chiedono quando tornerò a trovarli: “la vigilia di Natale passo a farvi gli Auguri” dico loro sorridendo, sperando in cuor mio di non trovarci più Totò (speranza vanificata dalla notizia che la stampa divulgherà poche ore più tardi). Mi abbracciano. Mi ringraziano per il tanto tempo che ho dedicato loro. “Il tempo, come dice Seneca – mi fa Totò – è un grande dono, perché quello che si regala agli altri non si remunera, né si ristora. E noi, qui, del trascorrere del tempo abbiamo una grande cognizione”. Ho un nodo alla gola.

E’ passato mezzogiorno da poco. Con i colleghi della Commissione facciamo all’inverso il percorso di stamane. Lungo il corridoio incrociamo un gruppo di una ventina di detenuti che fa il ritorno dall’ora d’aria, scortati da un paio di agenti. Si sperticano in saluti nei nostri confronti. Al corpo di guardia riconsegniamo il tesserino di riconoscimento e ci riprendiamo i nostri documenti di identità.

Luigi, “l’uditore”, ci aspetta sul piazzale dove lo avevamo lasciato prima. Ci chiede come sono andati gli esami. Scambiamo due chiacchiere, mentre inizia il via vai di volontari, di personale della Caritas, di agenti che iniziano il turno o che smontano.

Il sole, ora, inonda con pienezza e calore la piazza. Il ghiaccio mattutino delle pozzanghere si è sciolto. Siamo tutti più leggeri. Buon Natale 2013.

2 Responses to “LIBERTÀ …. DI STUDIARE”

  1. Valeria scrive:

    Caro Rodolfo,
    complimenti per l’articolo.
    Ti ringrazio per averci concesso, in pochi minuti di lettura, uno “sguardo” su una realtà ignota alla gran parte delle persone.
    Ciò che Tu ed i Tuoi Colleghi fate per queste persone è veramente pregevole e degno di nota.
    Spero che i protagonisti di questi “racconti” possano sapere che i loro sforzi vengono premiati anche attraverso le Tue citazioni.
    Un caro saluto,
    Valeria Coppola

    • admin scrive:

      Cara Valeria, il pezzo è stato stampato e portato a Rebibbia ed i “ragazzi” sono stati davvero contenti di essere stati menzionati in quella che per loro è stata una fatica enorme, ma che si è conclusa con una bella e motivata soddisfazione. So che l’articolo è stato pubblicato nella bacheca del braccio G8 dove la maggior parte degli studenti del Gruppo Universitario è reclusa. Hanno, così, trascorso un Natale meno “solitario”…

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