La sentenza del Tribunale di Roma e la teoria delle metà

La sentenza del Tribunale di Roma e la teoria delle metà

Tribunale di RomaUn ente pubblico, l’Arsial, agisce in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma, nel 2005, perché vuole ottenere il risarcimento danni derivante dall’illegittima appropriazione di un fondo agricolo di sua proprietà ubicato alla borgata Ottavia che, in difetto di regolare dichiarazione di pubblica utilità, il Comune di Roma ha occupato e trasformato in modo irreversibile costruendoci sopra case per l’edilizia popolare. L’oggetto del contendere diventa, dunque, l’importo del corrispettivo da pagare. L’attore domanda 18 milioni di euro, l’Amministrazione comunale ritiene che la somma non possa superare 3 milioni e mezzo. La distanza è notevole e quindi il giudice monocratico nomina un consulente d’ufficio. Una cosa assolutamente normale e fisiologica. La relazione peritale espletata, di fatto aiuta poco perché, secondo il magistrato, “il ctu ha proposto criteri di liquidazione analitici astrattamente corretti ma, in concreto, l’incertezza è proprio sul criterio da adottare”. Chi legge la sentenza (del luglio 2012) non conoscendo le carte processuali (cioè, i più), non riesce a capire quali somme abbia individuato come corrette il consulente, perché il giudice non le indica (né fa cenno a quali criteri costui abbia fatto riferimento). E’ certo, però, che all’atto della illegittima apprensione le aree non avevano vocazione edificatoria ma erano, appunto, agricole.

Ad un certo punto, la motivazione della decisione (che consta, sul punto, di 16 righe), così espressamente recita: “conclusivamente appare corretto determinare l’importo del risarcimento nella somma di euro 10 milioni, equitativamente e omnicomprensivamente determinata; somma peraltro relativamente vicina a quella indicata dal ctu”.

Punto.

Rileggo: “appare corretto” …. E ciò in via equitativa ed omnicomprensiva.

Ma che razza di sentenza è? La forbice tra le posizioni delle due parti processuali era enorme, fondata su diverse modalità di stima: ed il giudice che fa? Taglia il frutto conteso più o meno a metà, “ad occhio”: così – avrà pensato – non faccio torto a nessuno. E come motiva questa sua scelta? Con “l’equità”, dice lui.

Non si tratta affatto di una sentenza “salomonica”, a dire il vero, perché Re Salomone, nel celebre passo citato nella Bibbia, usa tutta la sua sapienza per capire quale delle due parti (le due donne che si contendevano l’unico figlio) fosse quella ad avere, dalla sua, la ragione. Né si è di fronte ad una sentenza frutto di un “tiro di dadi”, come pure ce ne sono molte (il giudice, non sapendo a chi dare torto, si affida al caso, alla sorte, alla monetina, pulendosi in tal modo la coscienza). No. Si tratta di una decisione affidata ad un’arma da taglio, per mezzo della quale si decide di spaccare più o meno a metà “il bene della vita” oggetto di lite: uno dei due contendenti vuole pagare solo tre milioni e mezzo, l’altro ne pretende diciotto. Ed allora si utilizza un sistema vecchio come il mondo, utilizzando la c.d. “teoria delle metà”. Gli è che, però, che per operare in questo modo non bisogna necessariamente essere un giudice della Repubblica, essendo sufficiente un qualsiasi uomo o donna di buon senso: un falegname, un pilota di aereo, un portantino.

La voce, dunque, a Platone: “Durante il simposio, prende la parola anche il commediografo Aristofane e dà la sua opinione sull’amore narrando un mito. Un tempo – egli dice – gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione”.

Ecco. Se si riesce a trovare la metà delle cose si raggiunge sempre l’antica perfezione.

Chissà se farà così anche la Corte d’appello, nelle cui mani finirà quella sciagurata sentenza, scritta probabilmente sotto un ombroso albero di fico, dopo un lauto pasto di mezza estate.

P.S. del 5 aprile 2014. La Corte di appello di Roma, adita dal Comune in sede di gravame, con ord.za del 31 marzo 2014 (Pres. dr. Reali, Rel. dr.ssa Zannella) ha sospeso l’efficacia della “sentenza salomonica” affermando che la stessa “non è invero altamente probabile sia confermata“. I giudici di appello debbono aver capito bene.

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