Decisione del ricorso straordinario e ricorribilità per cassazione

Decisione del ricorso straordinario e ricorribilità per cassazione

CORTE DI CASSAZIONE, SS.UU. – 19 dicembre 2012 n. 23464 – Pres. ff. Preden, Rel. Amoroso – Consiglio Superiore della Magistratura (avv. Verde) c. Manzo (avv. V. Romano) e Ministero della giustizia (n.c.).

1. Giustizia amministrativa – Ricorso straordinario al Capo dello Stato – Decreto decisorio – Natura giuridica – E’ ormai sostanzialmente giurisdizionale – Necessità di un processo di revisione da parte del legislatore per eliminare le residue aporie del relativo procedimento – Sussiste.

2. Giustizia amministrativa – Ricorso straordinario al Capo dello Stato – Decreto decisorio – Proposizione avverso di esso di un ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 362, 1° comma, c.p.c. – Per motivi attinenti alla giurisdizione – Possibilità – Sussiste – Limiti – Individuazione .

1. Anche se finora la giurisprudenza della Cassazione è stata nel senso di attribuire natura amministrativa al decreto che decide un ricorso straordinario al Capo dello Stato, la recente modifica del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento induce ad affermare la natura giurisdizionale di detto decreto. Invero, lo sviluppo normativo e giurisprudenziale consente di assegnare al decreto presidenziale emesso, su conforme parere del Consiglio di Stato, nel procedimento per ricorso straordinario la natura sostanziale di decisione di giustizia e quindi natura sostanziale giurisdizionale, atteso che vi è esercizio della giurisdizione nel contenuto espresso dal parere del Consiglio di Stato che, in posizione di terzietà e di indipendenza e nel rispetto delle regole del contraddittorio, opera una verifica di legittimità dell’atto impugnato con ricorso (straordinario) di una parte e senza l’opposizione (e quindi con il consenso) di ogni altra parte intimata, le quali tutte così optano per un procedimento più rapido e snello, privo del doppio grado di giurisdizione, per accedere direttamente – e quindi per saltum – al controllo di legittimità del Consiglio di Stato.

2. E’ impugnabile con ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 362, primo comma, c.p.c. solo per motivi attinenti alla giurisdizione, il decreto del Presidente della Repubblica che decide il ricorso straordinario in conformità del parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato (ex art. 14 d.P.R. n. 1199/1971, come novellato dall’art. 69, secondo comma, L. n. 69 del 2009). Va tuttavia precisato che la proposizione di tale ricorso è da ritenere ammissibile (ex art. 7, comma 8, C.P.A.) unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il dott. Francesco Manzo, magistrato assoggettato a procedimento disciplinare ed inizialmente sospeso dalle funzioni e dallo stipendio con ordinanza della Sezione Disciplinare del Consiglio superiore della magistratura dell’11 aprile 2008, chiedeva, con istanza del 27 novembre 2009, di essere dispensato dal servizio con riconoscimento del diritto a pensione di inabilità o, in subordine, a pensione normale.

In data 16 febbraio 2010 veniva riconosciuto dalla commissione medica di verifica di Brindisi “inabile permanentemente ed in modo assoluto al servizio d’istituto”, perché affetto da “depressione maggiore in trattamento HBV-BPLO – cardiopatia ipertensiva ed aneurisma aorta discendente – adenoma tiroideo – calcolosi renale”.

Il C.S.M., con delibera del 17 novembre 2010, assentiva la dispensa dal servizio del dott. Manzo “in quanto inabile permanentemente ed in modo assoluto al servizio di istituto” con decorrenza “dal giorno in cui avverrà la comunicazione all’interessato del decreto con il quale il Ministro della giustizia recepirà la presente delibera consiliare”.

Pressoché contestualmente però, con sentenza dell’11 dicembre 2009-15 marzo 2010, n. 43, la Sezione Disciplinare del C.S.M. applicava al dott. Manzo la sanzione disciplinare della rimozione dall’ordine giudiziario.

Con nota 20 dicembre 2010 n. 0129504U il Ministro della giustizia formulava osservazioni sulla suddetta delibera del 17 novembre 2010 del C.S.M., in particolare per la parte in cui essa dispensava dal servizio per motivi di salute un magistrato già sospeso dal servizio e che dopo poco (l’il dicembre 2009), all’esito del procedimento disciplinare, era stato rimosso dal servizio con sentenza della Sezione Disciplinare, ancorché non passata in giudicato perché impugnata con ricorso per cassazione. La nota invitava il C.S.M. a riconsiderare la possibilità che la dispensa dal servizio per invalidità potesse applicarsi a magistrato sospeso dal servizio e poi rimosso.

Con delibera del 12 gennaio 2011 il C.S.M., considerato che la nota del Ministro della giustizia perseguiva il fine di una eventuale revoca o modifica della precedente delibera del 17 novembre 2010, revocava intanto, in via di autotutela, la delibera di dispensa dal servizio del dott. Manzo, assunta il 17 novembre 2010, al fine di esaminare se, in concreto, l’accertamento della impossibilità di svolgere le funzioni di magistrato potesse essere effettuato con riferimento al periodo in cui il magistrato era impossibilitato ad esercitare le sue funzioni per ragioni disciplinari e sospendeva la trattazione della pratica in attesa della definizione del ricorso in cassazione proposto dal dott. Manzo contro la sentenza con la quale gli era stata inflitta la sanzione della rimozione dall’ordine giudiziario.

2. Contro tale determinazione insorgeva il dott. Manzo con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica del 26 gennaio 2011, chiedendone la sospensione cautelare degli effetti e deducendo:

a) incompetenza del C.S.M. alla sua adozione, in quanto l’organo aveva esaurito il suo potere con l’adozione del provvedimento di dispensa dal servizio per inabilità;

b) difetto di motivazione, visto che non erano esplicitati i nuovi presupposti di fatto ed i nuovi motivi di pubblico interesse che la giustificano;

c) motivazione perplessa e contraddittoria;

d) mancata comunicazione dell’avvio del procedimento e quindi violazione del principio di partecipazione dell’interessato al procedimento amministrativo;

e) erronea valutazione del principio della reciproca autonomia del procedimento disciplinare e del procedimento di dispensa dal servizio.

In data 18 aprile 2011 un nuovo ricorso straordinario era proposto dal dott. Francesco Manzo, che impugnava il silenzio serbato dal Ministro della giustizia sulla propria istanza del 31 marzo 2011 intesa ad ottenere l’emissione dei decreti ministeriali attuativi delle delibere del C.S.M. del 17 novembre 2010 di dispensa dal servizio per infermità e del 12 gennaio 2011 di revoca di questa deliberazione.

Intanto le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione con sentenza del 31 maggio 2011, n. 11964, rigettavano il ricorso proposto dal dott. Manzo contro la menzionata sentenza della Sezione Disciplinare del C.S.M., che aveva inflitto la sanzione disciplinare della rimozione dall’ ordine giudiziario.

4. Il 20 luglio 2011 il C.S.M. deliberava di non doversi procedere in ordine alla domanda del dott. Manzo di dispensa dal servizio ai sensi dell’art. 3 del regio d.lgs. 31 maggio 1946 n. 511 e di liquidazione della pensione diretta di inabilità, essendo stato l’interessato già rimosso dall’ordine giudiziario con sentenza della Sezione Disciplinare divenuta definitiva.

5. Il 28 luglio 2011 il ricorrente presentava motivi aggiunti al ricorso straordinario impugnando anche la menzionata delibera del C.S.M. del 20 luglio 2011 ed inoltre, in data 18 agosto 2011, depositava una memoria difensiva insistendo per l’accoglimento dei ricorsi straordinari.

6. Il Consiglio di Stato, in sede consultiva, nell’adunanza del 26 ottobre 2011, esprimeva il parere che i ricorsi straordinari proposti dal dott. Manzo dovessero essere riuniti e accolti, con annullamento dell’impugnata delibera del Consiglio superiore della magistratura del 12 gennaio 2011 di revoca della dispensa in precedenza assentita dallo stesso C.S.M..

Il Presidente della Repubblica con decreto del 20 gennaio 2012, emesso su proposta del Ministro della giustizia, riuniva i ricorsi e li accoglieva recependo integralmente il contenuto del parere del Consiglio di Stato.

7. Avverso il decreto presidenziale che ha deciso i ricorsi straordinari ricorre per cassazione il Consiglio Superiore della Magistratura.

Resiste con controricorso il dott. Manzo.

Il Ministero della giustizia intimato non ha svolto difesa alcuna.

Il C.S.M. ricorrente ed il resistente dott. Manzo hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il ricorso, recante un’unica articolata censura, il C.S.M. chiede la cassazione del decreto presidenziale impugnato “ai sensi degli artt. 362 c.p.c. e 110 c.p.a. in relazione all’art. 111, u. co., Cost.”.

In particolare il C.S.M. ricorrente invoca la pronuncia di questa Corte (Cass., sez. un., 28 gennaio 2011, n. 2065), secondo cui “in rapporto al decreto di accoglimento di ricorso straordinario, il configurarsi come giudicato può essere discusso in questa sede come questione di giurisdizione ai sensi dell’art. 362 c.p.c.”.

Questo arresto giurisprudenziale – secondo la difesa del C.S.M. – induce a ritenere che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica sia ormai da considerarsi “giurisdizionalizzato” e che quindi il decreto presidenziale che lo decide abbia efficacia tipica di un provvedimento giurisdizionale con conseguente ammissibilità non solo del giudizio di ottemperanza (come ritenuto dalla pronuncia citata), ma anche del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 362, primo comma, c.p.c.. 11 decreto presidenziale infatti costituisce una decisione idonea a formare il giudicato ed è pertanto impugnabile, in quanto tale, con il ricorso straordinario di cui agli artt. Ili, ottavo comma, Cost. e 362, primo comma, c.p.c. per motivi attinenti alla giurisdizione.

Nella specie il Consiglio di Stato, in sede consultiva, ha affermato – erroneamente, secondo la difesa del C.S.M., così travalicando i limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo in materia – di non essere vincolato alla pronuncia di questa Corte (Cass., sez. un., 31 maggio 2011, n. 11964) di rigetto del ricorso proposto dal dott. Manzo avverso la decisione della Sezione Disciplinare n. 43 del 2010 di rimozione dall’ordine giudiziario, a seguito della quale si era formato il giudicato in ordine alla causa di cessazione del rapporto di impiego (i.e. sanzione disciplinare e non già sopravvenuta inidoneità fisica del magistrato).

Quindi il Consiglio di Stato – e conseguentemente anche il decreto presidenziale che ha provveduto in conformità – ha violato le regole della giurisdizione e tale vizio è deducibile ai sensi dell’art. 362, primo comma, c.p.c..

2. Vanno respinte innanzi tutto le eccezioni preliminari di inammissibilità del ricorso sollevate dal controricorrente: il decreto presidenziale impugnato è in copia conforme rilasciata dal Ministro della giustizia; è stata depositata l’istanza di trasmissione del fascicolo; il C.S.M. è legittimato ad impugnare il decreto presidenziale e con esso il parere vincolante del Consiglio di Stato che fa corpo con il decreto stesso per aver esso annullato una delibera del Consiglio; la procura rilasciata dal vice-Presidente del C.S.M. ad un avvocato del libero foro, abilitato al patrocinio innanzi a questa Corte, legittima quest’ultimo alla sottoscrizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 365 c.p.c..

In particolare, quanto a quest’ultima eccezione, è sufficiente richiamare la giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. un., 21 febbraio 1997, n. 1617) che – in riferimento al disposto dell’art. 5 R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, che ammette che la difesa della Pubblica Amministrazione possa essere affidata ad un avvocato del libero foro, anziché all’Avvocatura dello Stato, solo per ragioni eccezionali e sulla base di un prescritto formale procedimento – ha affermato che il Consiglio Superiore della Magistratura non può considerarsi come Amministrazione dello Stato in senso stretto, poiché è l’organo di autogoverno di un ordine autonomo e indipendente (nonché – può aggiungersi – costituisce potere dello Stato “in quanto organo direttamente investito delle funzioni previste dall’art. 105 della Costituzione” come riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale: cfr. Corte cost., ord., n. 116 del 2005), sicché il ricorso, da parte di esso, per il suo patrocinio difensivo, al foro libero, non è incompatibile con l’ordinario sistema della difesa in giudizio della Pubblica Amministrazione. Ed ha ulteriormente rilevato che, ove parte in giudizio sia anche il Ministro di Grazia e Giustizia, vale a dire una Amministrazione difesa per legge dalla Avvocatura dello Stato, se al Consiglio Superiore non si riconoscesse la possibilità di rivolgersi al foro libero (se non mediante la macchinosa procedura previste dall’art. 5 R.D. n. 1611 del 1933 cit., comunque non dipendente dalla sua volontà), entrambe le parti dovrebbero essere tutelate dallo stesso difensore. Considerazione questa pertinente anche nella specie che parimenti vede come parte intimata in questo giudizio di cassazione il Ministro della giustizia.

Deve quindi riconoscersi la facoltà del Consiglio Superiore, esercitabile anche al di fuori della procedura di deroga prevista dall’art. 5 cit., di rivolgersi al libero foro per il patrocinio in giudizio.

3. Il ricorso è ammissibile ai sensi degli artt. 362, primo comma, c.p.c. e 111, ottavo comma, Cost. per le ragioni che si vengono ad illustrare; ma sotto altro profilo è inammissibile perché, nella specie, pone una questione non già di giurisdizione, bensì di violazione di legge.

4. Sotto il primo profilo (l’ammissibilità del ricorso ex art. 362, primo comma, c.p.c.) il ricorso pone la questione del riconoscimento, predicato dalla difesa del Consiglio ricorrente, della natura di decisione di giustizia – e quindi della natura giurisdizionale – del decreto presidenziale impugnato, recante come unico contenuto il parere del Consiglio di Stato, testualmente richiamato perché da intendersi integralmente riprodotto nel decreto stesso, che nulla aggiunge limitandosi a recepire come dispositivo le conclusioni del parere di accoglimento dei ricorsi straordinari proposti dall’odierno controricorrente e come motivazione le diffuse argomentazioni in fatto ed in diritto espresse dal Consiglio di Stato nel suo parere; talché, ove si riconosca che sia ravvisabile una fattispecie di esercizio di giurisdizione, deve anche esserci, in sede di impugnazione, un sindacato sulla giurisdizione a cui nessuna decisione, che tale natura abbia, può ritenersi sottratta ex art. 111, settimo ed ottavo comma, Cost..

Finora la giurisprudenza di questa Corte è stata nel senso della natura amministrativa del decreto presidenziale, seppur connotata da elementi di specialità che segnavano la contiguità alle pronunce rese dal giudice amministrativo.

Ma la recente modifica del quadro normativo di riferimento induce ora questa Corte ad affermarne la natura giurisdizionale per le ragioni che si vengono ad esporre.

5. Il ricorso straordinario costituisce un istituto antico, presente nelle monarchie assolute (“una sorta di prerogativa di grazia concessa al monarca”: Corte cost. n. 298 del 1986) e riprodotto nella legge 20 marzo 1865, n. 2248, che provvide all’unificazione dell’ordinamento e della legislazione amministrativa del neonato Stato italiano e che nell’allegato D conteneva la legge sull’istituzione del Consiglio di Stato. In tale normativa si faceva riferimento al ricorso al Re, qualificato come “ricorso straordinario” perché poteva essere proposto solo dopo l’esaurimento dei rimedi ordinari, ossia dei ricorsi gerarchici.

Pur non costituendo uno strumento di tutela giurisdizionale e non comportando l’esercizio da parte del Re di poteri tipici dei giudici, collocandosi invece nell’ambito dei rimedi amministrativi, il ricorso straordinario rappresentò per lungo tempo il rimedio giustiziale – l’unico in assenza di un sistema di giustizia amministrativa – per la tutela degli interessi legittimi nel periodo compreso tra il 1865 ed il 1889, ossia fino alla legge 31 marzo 1989, n. 5992, istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato con competenze e funzioni giurisdizionali.

L’introduzione di una forma di giustizia amministrativa non schermò il ricorso straordinario al Re che anzi fu attratto ad essa quando la legge 7 marzo 1907, n.62, sul “riordinamento degli istituti per la giustizia amministrativa”, introdusse alcune prescrizioni processuali che facevano confluire l’istituto nell’alveo dei rimedi giustiziali perché si previde un termine per proporre il ricorso (che prima mancava) e la necessità del contraddittorio con l’autorità che aveva emesso il provvedimento e con gli “altri interessati”. Ha notato in proposito la dottrina che quello che in origine era stato un estremo appello alla grazia sovrana si trasformò in un vero e proprio rimedio giuridico.

Ed il raccordo con il rimedio giurisdizionale del ricorso al giudice amministrativo stava nell’ulteriore prescrizione secondo cui gli “altri interessati” destinatari della comunicazione del ricorso potevano proporre opposizione, nel qual caso “il giudizio avrà luogo in sede giurisdizionale” (art. 4 legge n. 62 del 1907). Questo snodo, che rappresentava (fin dalla legge n. 5992 del 1889) il regime di alternatività tra ricorso ordinario e ricorso straordinario, poi ribadito dall’art. 34 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato), rimarrà una caratteristica dell’istituto fino ai giorni nostri e si accompagnerà al carattere non vincolante del parere (comunque obbligatorio) del Consiglio di Stato (cfr. art, 54, terzo comma, r.d. 21 aprile 1942, n. 444).

Per lungo tempo poi si è ritenuta la non impugnabilità innanzi al Consiglio di Stato del decreto che decideva sul ricorso straordinario desumendosi dall’alternatività delle tutele una sorta di principio di ne bis in idem.

Inizialmente l’introduzione della regola dell’alternatività tra il ricorso straordinario al Re e il ricorso ordinario al Consiglio di Stato, la previsione di un termine perentorio per la proponibilità del ricorso medesimo e l’obbligo della notificazione all’autorità che aveva emesso il provvedimento e a chi vi avesse avuto un interesse diretto inducevano lo stesso Consiglio di Stato a predicare la natura sostanzialmente giurisdizionale del ricorso straordinario (Cons. Stato., ad. gen., 1° aprile 1909, n. 243; ed in epoca meno risalente Cons. Stato, sez. I, 27 novembre 1947, n. 1140), disconosciuta invece da altra giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 1932).

Inoltre si aprì anche una breccia nella originaria non giustiziabilità della decisione sul ricorso straordinario ammettendosene la sindacabilità anche se solo per vizi di forma o del procedimento.

6. Dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana – benché la (recente, all’epoca) versione “siciliana” del ricorso straordinario (art. 23, terzo comma, r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, Statuto della Regione siciliana) fosse stata appena ratificata con la conversione in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 – ci fu chi dubitò della perdurante vigenza dell’istituto in ragione del precetto dell’art. 113, primo comma, Cost. che vuole che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.

Ma ben presto il legislatore (ordinario, in vero) ne ha dapprima confermato indirettamente la vigenza (art. 7 legge 11 dicembre 1950, n. 1050) ed in seguito ha regolamentato più compiutamente il ricorso straordinario negli artt. 8-15 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, sui procedimenti in materia di ricorsi amministrativi; disciplina questa poi raccordata con la quasi coeva legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, il cui art. 20, quarto comma, dava seguito alla regola dell’alternatività escludendo l’ammissibilità del ricorso giurisdizionale ove fosse stato proposto il ricorso straordinario.

Del resto la giurisprudenza amministrativa aveva ribadito senza incertezze l’operatività di tale rimedio impugnatorio anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione (ex plurimis Cons. Stato, ad. gen., 26 agosto 1950, n. 291; id, sez. VI, 16 ottobre 1951, n. 430; ed anzi Cons. Stato, ad. gen., 19 febbraio 1951, n. 94, ritenne che il rimedio rientrasse nella garanzia di giustiziabilità dell’art. 113, primo comma, Cost.).

Inoltre la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, VI Sez., 16 ottobre 1951, n. 430) ritenne ammissibile il giudizio di ottemperanza nel caso di mancata esecuzione della decisione del Presidente della Repubblica di accoglimento del ricorso così predicando la natura giurisdizionale del ricorso straordinario.

7. Questa tendenza alla “giurisdizionalizzazione” del ricorso straordinario ha però trovato, nella giurisprudenza di questa Corte (già con Cass., sez. un., 2 ottobre 1953, n. 3141), una risposta di segno opposto che riconduceva invece il ricorso straordinario nell’alveo dei ricorsi amministrativi e quindi nell’attività di amministrazione.

In linea di continuità con tale giurisprudenza Cass., sez. un., 28 settembre 1968, n. 2992, ha affermato che il ricorso straordinario al Capo dello Stato è privo dei caratteri formali e sostanziali della giurisdizione e va classificato tra i ricorsi in via amministrativa; il provvedimento che decide su tale ricorso ha, per conseguenza, natura amministrativa ed è sfornito della efficacia della cosa giudicata, propria degli atti giurisdizionali. Cfr. Cass., sez. un., 29 marzo 1971, n. 903, che ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione a norma dell’art. 111 Cost. avverso il decreto che decide il ricorso straordinario al Capo dello Stato, trattandosi di provvedimento che ha natura amministrativa e non giurisdizionale. Cfr. altresì Cass., sez. un., 11 novembre 1988, n. 6075, secondo cui il decreto del Capo dello Stato che provvede sul ricorso straordinario, pur ponendosi al di fuori dell’ordine gerarchico della pubblica amministrazione e su un piano alternativo rispetto alla tutela giurisdizionale, ha natura amministrativa; ne consegue che avverso detto decreto non è ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (salva restando la sua sindacabilità, quale atto amministrativo, nelle dovute sedi giurisdizionali). Conf., più recentemente, Cass., sez. un., 17 gennaio 2005, n. 734.

Parimenti Cass., sez. un., 18 dicembre 2001, n. 15978, nel ribadire il precedente orientamento, ha escluso il ricorso al giudizio di ottemperanza atteso che il decreto con il quale è deciso il ricorso straordinario non può essere assimilato alle sentenze passate in giudicato, le uniche suscettibili di esecuzione mediante il giudizio di ottemperanza.

8. Sul piano poi del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, che richiede che l’ordinanza di rimessione che solleva la questione sia emessa da un”‘autorità giurisdizionale” (art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87), può registrarsi un orientamento in sintonia con la richiamata giurisprudenza di legittimità.

La Corte costituzionale ha più volte affermato (ord. nn. 56 e 301 del 2001; sent. n. 298 del 1986, n. 148 del 1982, n. 31 del 1975) che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è un istituto singolare, anomalo, che unisce a spiccati caratteri amministrativi un procedimento contenzioso sui generis finalizzato alla risoluzione non giurisdizionale di un conflitto concernente la legittimità di atti amministrativi definitivi (cfr. anche sent. n. 282 del 2005). Conseguentemente la Corte (sent. n. 254 del 2004, ord. nn. 357 e 392 del 2004) ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 legge n. 87 del 1994 (in materia di riliquidazione dell’indennità di fine rapporto dei dipendenti pubblici), sollevata dal Consiglio di Stato in sede di parere su ricorso straordinario al Capo dello Stato: ciò appunto in ragione del fatto che la questione era stata sollevata da un organo non giurisdizionale, la cui natura amministrativa era evidenziata dal fatto che l’art. 14, primo comma, d.P.R. 1199/71 prevedeva che, ove il ministro competente intendesse proporre una decisione difforme dal parere del Consiglio di Stato, dovesse sottoporre la questione alla deliberazione del

Consiglio dei ministri (provvedimento, quest’ultimo, evidentemente non giurisdizionale, per la natura dell’organo da cui promanava).

9. Invece la Corte di giustizia (sent. 16 ottobre 1997, in cause riunite C-69- 79/96) ha dato ingresso alle questioni di interpretazione di norme comunitarie, sollevate dal Consiglio di Stato in sede di parere su ricorso straordinario al Capo dello Stato, riconoscendo natura di giudice nazionale a detto organo anche in tale sede.

Ha osservato la Corte che “sia il ricorso straordinario sia il ricorso amministrativo giurisdizionale ordinario prevedono un contraddittorio e garantiscono l’osservanza dei principi d’imparzialità e di parità fra le parti”; che il parere, comprensivo di motivazione e dispositivo, è “basato sull’applicazione delle norme di legge”; che “il Consiglio di Stato è un organo permanente, imparziale e indipendente poiché i suoi membri, tanto nelle sezioni consultive quanto in quelle giurisdizionali, offrono garanzie legali d’indipendenza e d’imparzialità”; che pertanto “il Consiglio di Stato, quando emette un parere nell’ambito di un ricorso straordinario, costituisce una giurisdizione ai sensi dell’art. 177 del trattato” [ora art. 267 TFUE, già art. 234 TCE].

Diversamente orientata è stata la Corte di Strasburgo, che ha ritenuto che le disposizioni della CEDU non trovino applicazione al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (Corte EDU, sez. XIII, 28 settembre 1999, Nardella c. Italia).

10. Successivamente, in epoca più recente, è mutato il quadro normativo di riferimento rispetto alla disciplina dell’istituto quale recata dal cit. d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, sui procedimenti in materia di ricorsi amministrativi, il cui art. 15 peraltro – può già notarsi – prevedeva la revocazione della decisione sul ricorso straordinario nei casi previsti dall’art. 395 c.p.c. e quindi anche per conflitto di giudicati; ciò che poteva già indurre a ritenere che il parere emesso dal Consiglio di Stato sul ricorso straordinario e la conseguente conforme decisione del Presidente della Repubblica avessero natura sostanzialmente giurisdizionale atteso che l’istituto della revocazione è il rimedio tipico degli atti giurisdizionali.

Ma è in epoca più recente che si registrano significative innovazioni normative.

11. Innanzi tutto può ricordarsi l’art. 3 l. 21 luglio 2000, n. 205, recante disposizioni in materia di giustizia amministrativa, che ha riformato il processo cautelare innanzi al giudice amministrativo ed in quel contesto normativo ha previsto in particolare, al comma 4, che nell’ambito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica può essere concessa, a richiesta del ricorrente, ove siano allegati danni gravi e irreparabili derivanti dall’esecuzione dell’atto, la sospensione dell’atto medesimo. La sospensione è disposta con atto motivato del Ministero competente ai sensi dell’art. 8 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, su “conforme parere” del Consiglio di Stato. Quindi il ruolo del Consiglio di Stato già muta in parte: il parere, reso in una sede che può qualificarsi cautelare nel più ampio contesto della sede consultiva tipica del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha natura vincolante dovendo il Ministro competente provvedere in modo “conforme”.

Parimenti rileva l’art. 245 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), che, nella sua originaria formulazione, nel definire gli “strumenti di tutela” aveva posto la esperibilità del ricorso straordinario in pieno parallelismo al ricorso ordinario stabilendo che gli atti delle procedure di affidamento, nonché degli incarichi e dei concorsi di progettazione, relativi a lavori, servizi e forniture previsti dal codice medesimo, nonché i provvedimenti dell’Autorità, erano impugnabili, alternativamente, mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente o mediante ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Inoltre il comma 2 di tale disposizione prevedeva che, nel caso di mancata esecuzione del decisum degli “strumenti di tutela” di cui al comma 1, e dunque anche del ricorso straordinario, era esperibile il ricorso per ottemperanza. La vigente formulazione di tale disposizione contiene ora un rinvio, prevedendo che la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal codice del processo amministrativo, che – come ora si dirà – detta regole anche per il ricorso straordinario.

12. Ma è soprattutto negli anni 2009-2010 che muta, ulteriormente ed in termini di maggior rilievo, il quadro normativo di riferimento.

13. Innanzi tutto la riforma del 2009 (legge 18 giugno 2009, n. 69, recante nuove norme in materia di processo civile) ha apportato, all’art. 69, significative modifiche alla disciplina del ricorso straordinario, ora qualificato nella rubrica della disposizione come rimedio “giustiziale” contro la pubblica amministrazione. Il secondo comma dell’art. 69 cit. ha infatti novellato l’art. 14, primo comma, primo periodo, d.P.R. n. 1199/1971, con la previsione del carattere vincolante del parere reso dal Consiglio di Stato essendo ora prescritto che il decreto del Presidente della Repubblica, che decide sul ricorso straordinario, deve essere adottato su proposta del Ministero competente, “conforme al parere del Consiglio di Stato”. Conseguentemente è stata abrogata la precedente disciplina (art. 14, primo comma, secondo periodo, e secondo comma, cit.) nella parte in cui consentiva la decisione del ricorso straordinario in termini “difformi” rispetto al parere, previa delibera del Consiglio dei ministri.

In tal modo è stato rimosso l’ostacolo che la giurisprudenza costituzionale ravvisava al riconoscimento della natura di “autorità giurisdizionale” al Consiglio di Stato nella suddetta sede consultiva. E quindi lo stesso art. 69 al primo comma – per fugare ogni dubbio interpretativo – ha espressamente sancito la possibilità per il Consiglio di Stato di sollevare la questione incidentale di legittimità costituzionale (ciò che peraltro finora in concreto non è ancora avvenuto). Ha infatti previsto che il Consiglio di Stato, se ritiene che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale che non risulti manifestamente infondata, sospende l’espressione del parere e, riferendo i termini e i motivi della questione, solleva l’incidente di costituzionalità ordinando l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale nonché la notifica del provvedimento alle parti.

In proposito potrebbe in vero sorgere qualche perplessità sulla fonte non di rango costituzionale, attesa la riserva di legge costituzionale di cui all’art. 137, primo comma, Cost. quanto alle condizioni, alle forme ed ai termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale; perplessità comunque superabili in ragione di quanto si dirà oltre (v. sub 19 e 20) per escludere che nella fattispecie sia configurabile una (non consentita) istituzione di un nuovo giudice speciale.

14. Il codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104) ha ulteriormente accentuato il carattere giurisdizionale del ricorso straordinario in varie disposizioni. Delle quali la più significativa appare essere l’art. 7 recante la definizione e l’ambito generale della giurisdizione amministrativa. E’ in questo ambito, chiaramente attinente alla giurisdizione e non già all’amministrazione, che si colloca anche la prescrizione specifica (al comma 8) secondo cui il ricorso straordinario è ammissibile unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa c quindi nelle materie in cui il giudice amministrativo ha giurisdizione. Sicché la “giurisdizione” diventa generale presupposto di ammissibilità del ricorso straordinario non diversamente che per il ricorso ordinario al giudice amministrativo. E quando il successivo art. 126 contempla uno speciale ambito della giurisdizione del giudice amministrativo in materia di contenzioso elettorale, che, in forza della generale prescrizione dell’art. 7 cit., avrebbe trascinato ex se anche un simmetrico allargamento dell’ambito di ammissibilità del ricorso straordinario, è necessaria una disposizione derogatoria ad hoc (l’art. 128) per escludere, come eccezione alla regola, tale allargamento.

In precedenza invece la predicata natura del ricorso straordinario come rimedio di carattere generale (Cons. Stato, ad. gen., 29 maggio 1997, n. 72) comportava non solo che la giurisdizione amministrativa non costituiva presupposto di ammissibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ma si riteneva (Cons. Stato, ad. gen., 10 giugno 1999, n. 9) essere quest’ultimo ammissibile anche a tutela di diritti soggettivi in materie estranee alla giurisdizione amministrativa e ricadenti nella giurisdizione del giudice ordinario (secondo un orientamento consolidato fin da Cons. Stato, ad. gen., 29 aprile 1971, n. 45) sicché in tale evenienza – salva l’ipotesi di competenza inderogabile (ma tale non era ritenuta, ad es., quella del giudice ordinario in materia di lavoro pubblico contrattualizzato) non vi era alternatività con la tutela giurisdizionale, ma al contrario vi era possibile concorrenza. Ciò che in realtà costituiva un’anomalia nella prospettiva della giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario; anomalia che è stata al fondo anche di una questione di costituzionalità, decisa però solo in rito (Corte cost., ord., n. 406 del 2007).

Rimossa questa possibilità di ricorso straordinario in materie in cui il giudice amministrativo è privo di giurisdizione, ne è derivato un pieno e sistematico parallelismo tra ricorso straordinario e ricorso ordinario, anche se la simmetria non è proprio assoluta perché la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. Ili, 15 ottobre 2010, n. 4609) ritiene una più ristretta esperibilità del ricorso straordinario quanto al novero delle azioni esercitabili in quella sede.

L’art. 48 cod. proc. amm. poi specifica in termini di maggior rigore e di accentuato parallelismo la regola dell’alternatività tra ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e ricorso ordinario al giudice amministrativo.

Innanzi tutto l’art. 48 contempla (al comma 1) la facoltà di opposizione (quella di cui all’art. 10 d.P.R. n. 1199 del 1971) in favore di qualsiasi parte nei cui confronti sia stato proposto il ricorso straordinario, laddove l’art. 10 contemplava tale facoltà unicamente in favore dei controinteressati e solo a seguito della declaratoria di incostituzionalità della disposizione (Corte cost. n. 148 del 1982) la stessa facoltà era stata estesa all’ente pubblico, diverso dallo Stato, che aveva emanato l’atto impugnato.

La nozione di “parte nei cui confronti sia stato proposto ricorso straordinario” è amplissima sì da comprendere i controinteressati, i cointeressati, la pubblica amministrazione che ha emanato l’atto impugnato (non più escluso lo Stato, essendo venuta meno la possibilità che il Governo interloquisca con una delibera del Consiglio dei ministri per disattendere il parere del Consiglio di Stato); ciò che assicura il pieno rispetto del contraddittorio.

Tale generalizzazione della facoltà di opposizione assicura inoltre che la natura di decisione di giustizia del decreto del Presidente della Repubblica, che qui si viene ad affermare, è compatibile con la garanzia di tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) innanzi ad un “giudice” sia esso ordinario (art. 102 Cost.) o speciale (art. 103 Cost.). Nessuna “parte” può – per così dire, contro la sua volontà – essere evocata in una sede contenziosa in cui la lite è destinata ad essere decisa sì nel rispetto del principio del contraddittorio, ma senza il doppio grado di giurisdizione e con un’istruttoria semplificata. La “parte nei cui confronti sia stato proposto ricorso straordinario” può (nel termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento dell’atto di opposizione) opporsi all’iniziativa del ricorrente che abbia scelto questa strada più rapida e meno processualmente strutturata affinché la lite sia invece trasferita e decisa nella sede ordinaria. Sicché la concreta percorribilità della via più rapida del ricorso straordinario richiede, in sostanza, il consenso di tutte le parti secondo una ratio non dissimile da quella sottesa al ricorso per saltum ex art. 360, secondo comma, c.p.c. che richiede appunto l’accordo delle parti.

Lo stesso art. 48 cod. proc. amm. prevede poi (al comma 3) una vera e propria ipotesi di translatio ìudìciì, non dissimile da quella generale del precedente art. 11 (tra giudice amministrativo ed altro giudice), qualora l’opposizione sia ritenuta inammissibile (ad es. perché tardiva) dal tribunale amministrativo regionale, destinatario della stessa; prescrive infatti che quest’ultimo dispone la restituzione del fascicolo per la “prosecuzione del giudizio in sede straordinaria”. Vi è quindi un’espressa ed inequivocabile qualificazione del procedimento per ricorso straordinario come “giudizio in sede straordinaria” che prosegue.

Questo accentuato parallelismo, coniugato alla regola della piena alternatività tra ricorso ordinario e ricorso straordinario, comporta che tale ultimo rimedio si è evoluto sì da poterlo considerare deputato tendenzialmente ad apprestare un grado di tutela analogo a quello conseguibile agendo giudizialmente nelle forme ordinarie.

15. Da ultimo, ma non ultimo tassello di questa evoluzione dell’istituto, c’è il recente arresto di queste Sezioni Unite (Cass., sez. un., 28 gennaio 2011, n. 2065), che – operando un revirement del precedente orientamento che dalla natura amministrativa della decisione del ricorso straordinario faceva derivare l’inammissibilità del giudizio di ottemperanza (Cass., sez. un., 18 dicembre 2001, n. 15978) – hanno all’opposto ritenuto quest’ultimo ammissibile proprio in ragione della natura della decisione del ricorso straordinario. Hanno richiamato l’art. 112 cod. proc. amm., che nel dettare le «disposizioni generali sul giudizio di ottemperanza», dispone, al secondo comma, che l’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato (lett. a) e, altresì, delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo (lett. b). In tale sistema la decisione su ricorso straordinario al Capo dello Stato, resa in base al parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato, si colloca – secondo questa Corte – «nell’ipotesi prevista alla lett. b) dell’art. 112, 2° comma»; ciò che significa che la decisione del ricorso straordinario si qualifica come “provvedimento esecutivo del giudice amministrativo”. Si è ritenuto quindi essere «la decisione su ricorso straordinario come provvedimento che, pur non essendo formalmente giurisdizionale, è tuttavia suscettibile di tutela mediante il giudizio d’ottemperanza». Ed ha puntualizzato questa Corte che «in rapporto al decreto di accoglimento di ricorso straordinario, il configurarsi come giudicato può essere discusso in questa sede come questione di giurisdizione ai sensi dell’art. 362 c.p.c.»

In breve, il modificato quadro normativo ha indotto questa Corte a rivedere la propria giurisprudenza (richiamata sopra sub 7), affermando che il decreto presidenziale, divenuto definitivo, è assimilabile al giudicato amministrativo e quindi è suscettibile del giudizio di ottemperanza.

16. In sintonia con tale pronuncia anche la successiva giurisprudenza amministrativa ha ammesso la sperimentabilità del giudizio di ottemperanza della decisione del ricorso straordinario innanzi allo stesso Consiglio di Stato essendo a quest’ultimo riferibile la decisione di giustizia di cui si chiede l’ottemperanza: ossia trova applicazione la lettera b), e non già la lettera d), del secondo comma dell’art. 112 cod. proc. amm. al fine dell’individuazione del giudice dell’ottemperanza ex art. 113 cod. proc. amm.; cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 giugno 2011, n. 3513, che, nel sottolineare la progressiva giurisdizionalizzazione del mezzo di impugnazione, ha puntualmente rimarcato che «non è dubitabile che il petitum proposto in sede di ricorso straordinario sia perfettamente equiparabile (e produca lo stesso effetto) ad una “domanda giudiziale”».

Sulla stessa scia si colloca da ultimo Cons. Stato, ad. plen., 5 giugno 2012, n. 18, che ha ritenuto essere la decisione sul ricorso straordinario «quale provvedimento esecutivo del giudice amministrativo (ex art. 112, comma 2, lett. b>), cod. proc. amm.» e pertanto «il ricorso per ottemperanza si propone, ex art.113 co.l, dinanzi allo stesso Consiglio di Stato, nel quale si identifica il “giudice che ha emesso il provvedimento della cui esecuzione si tratta”».

17. In sintesi lo sviluppo normativo e giurisprudenziale di cui si è detto finora consente di assegnare al decreto presidenziale emesso, su conforme parere del Consiglio di Stato, nel procedimento per ricorso straordinario la natura sostanziale di decisione di giustizia e quindi natura sostanziale giurisdizionale: ossia vi è esercizio della giurisdizione nel contenuto espresso dal parere del Consiglio di Stato che, in posizione di terzietà e di indipendenza e nel rispetto delle regole del contraddittorio, opera una verifica di legittimità dell’atto impugnato con ricorso (straordinario) di una parte e senza l’opposizione (e quindi con il consenso) di ogni altra parte intimata, le quali tutte così optano per un procedimento più rapido e snello, privo del doppio grado di giurisdizione, per accedere direttamente – e quindi per saltum – al controllo di legittimità del Consiglio di Stato.

Nella forma vi è tuttora l’adozione del decreto presidenziale che potrebbe essere affetto da vizi propri del procedimento successivo all’adozione del parere. Ma questo residuo elemento formale che connota la struttura ancora composita del ricorso straordinario, radicata nelle origini storiche dell’istituto (di cui si è detto), non inficia, né indebolisce la natura giurisdizionale sostanziale del rimedio impugnatorio nel contenuto recato dal parere del Consiglio di Stato.

La raggiunta natura di decisione di giustizia non significa anche che ogni aspetto della procedura (in particolare, l’istruttoria) sia pienamente compatibile con il canone costituzionale dell’art. 24 Cost. e con la garanzia del pieno contraddittorio, del diritto alla prova e all’accesso agli atti del procedimento; nonché – dopo il noto nuovo corso della giurisprudenza costituzionale (Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007) – con il parametro interposto del diritto ad un processo equo ex art. 6 CEDU. Cfr., in proposito, Cons. Stato, sez. Ili, 4 agosto 2011, n. 4666, che – nell’aderire al nuovo corso della giurisprudenza di queste Sezioni Unite quanto all’ammissibilità del giudizio di ottemperanza per l’esecuzione della decisione sul ricorso straordinario – sottolinea comunque “la specificità (e la sommarietà) della procedura originata dal ricorso straordinario, a confronto con quella disciplinata dal codice del processo amministrativo secondo i canoni più rigorosi del giusto processo”.

Ma laddove l’interpretazione adeguatrice non riesca a modellare il procedimento per ricorso straordinario in termini tali da renderlo pienamente compatibile sul piano costituzionale, c’è spazio per il legislatore per avanzare ulteriormente nel processo di revisione dell’istituto.

18. La conclusione raggiunta – che predica trattarsi nella fattispecie in esame di una decisione di giustizia e quindi di esercizio della giurisdizione che consente il sindacato sulla giurisdizione ad opera delle Sezioni Unite di questa Corte ex art. Ili, ottavo comma, Cost. e art. 362, primo comma, c.p.c. – appare pienamente compatibile con l’art. 125, secondo comma, Cost. che prevede che nelle regioni sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado. E’ vero che la giurisprudenza costituzionale, che ha più volte affermato che il principio del doppio grado di giurisdizione non ha copertura costituzionale (ex plurimis Corte cost, ord., n. 300 del 2008), ha però precisato che ciò vale “fuori dell’area segnata dall’art. 125 comma secondo Cost.” (Corte cost. n. 52 del 1984). Ma nella fattispecie – pur in disparte la considerazione che la riserva fatta dalla giurisprudenza costituzionale sta in realtà a significare che “la Costituzione impedisce di attribuire ai tribunali amministrativi regionali competenze giurisdizionali in unico grado” (Corte cost. n. 108 del 2009) – il principio suddetto comunque non è violato perché la generalizzata possibilità di opposizione (ex art. 10 d.P.R. n. 1199/1971; art. 48 cod. proc. amm.) della parte nei cui confronti è proposto il ricorso straordinario ha l’effetto di trasferire il contenzioso nella sede ordinaria del giudizio innanzi ad un t.a.r. in primo grado, sicché la garanzia del doppio grado di giurisdizione non è affatto violata, ed anzi è pienamente assicurata nella misura in cui non siano le parti stesse ad optare per il procedimento per ricorso straordinario che consente l’accesso diretto per saltum al Consiglio di Stato (cfr. Corte cost. n. 78 del 1966 secondo cui la regola dell’alternatività tra ricorso ordinario e ricorso straordinario non esclude né attenua la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi lesi da un atto amministrativo, ma è espressione di una libera scelta sulla base di una valutazione di convenienza).

19. Parimenti può ritenersi la compatibilità con l’art. 102, secondo comma, Cost. che non consente l’istituzione di nuovi giudici speciali, salva la revisione degli organi speciali di giurisdizione esistenti al momento di entrata in vigore della Costituzione stessa (VI disposizione transitoria e finale della Costituzione) e ferma restando (ex art. 103, primo comma, Cost.) la giurisdizione amministrativa del Consiglio di Stato e degli altri “organi di giustizia amministrativa”.

La giurisprudenza costituzionale in materia rifugge da un approccio formalistico e guarda alla sostanza delle cose.

E’ noto – in altra materia, però pure attinente alla giurisdizione – che da una parte la Corte, dopo aver ripetutamente affermato (Corte cost. nn. 6 e 10 del 1969) che le commissioni tributarie dell’epoca erano organi non già giurisdizionali ma di natura amministrativa, ha poi ritenuto (Corte cost. n. 287 del 1974) che “fatti nuovi, in sede legislativa” (ossia la riforma del contenzioso tributario del 1972) facevano ormai propendere decisamente “nel senso della giurisdizionalità”; ed ha in particolare osservato che nella legge (ordinaria) di riforma erano stati “eliminati gli aspetti dai quali traeva fondamento la tesi della natura amministrativa e accentuati i caratteri in base ai quali le commissioni venivano considerate come organi giurisdizionali”. Ossia la riforma del 1972, che disciplinava le “nuove” commissioni tributarie come giudice speciale (tributario), gettava luce (in chiave retrospettiva) anche sulle “vecchie” commissioni tributarie: “la nuova legislazione – imponendo all’interprete di considerare giurisdizionale il procedimento che si svolge davanti alle nuove commissioni – esclude che, nell’interpretare la legislazione precedente, si possa attribuire alle vecchie commissioni natura semplicemente amministrativa”.

Quindi preesisteva alla Costituzione un giudice speciale tributario, seppur difettoso nel senso che presentava aspetti che facevano fortemente dubitare della sua natura giurisdizionale. E la sua successiva revisione (nel 1972) da una parte ha coonestato questa incerta iniziale natura giurisdizionale, d’altra parte ha soddisfatto la VI disposizione transitoria della Costituzione che imponeva la revisione degli organi speciali di giurisdizione all’epoca esistenti con il limite, nella fattispecie, della materia tributaria (Corte cost. n. 130 del 2008 e n. 39 del 2010).

Rileva poi anche che, in riferimento ad altra fattispecie, la Corte, per escludere che una disposizione all’epoca censurata prevedesse un giudice speciale piuttosto che una sezione specializzata del giudice ordinario, ha posto l’accento sul “nesso organico” e sulla “compenetrazione istituzionale” di quest’ultima con il giudice ordinario (Corte cost., ord., n. 424 del 1989).

Orbene, richiamati questi principi e tornando alla fattispecie del ricorso straordinario, può ora considerasi che c’era, già prima dell’evoluzione normativa più recente, sopra indicata, la decisione di un contenzioso che non era censurabile innanzi al giudice amministrativo se non sulla base di un vizio di forma o di procedimento verificatosi successivamente al parere del Consiglio di Stato (ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 27 febbraio 2007, n.999; id, sez. IV, 20 giugno 1996, n. 800; e prima ancora Cons, Stato, ad. plen., 10 giugno 1980, n. 22, che ha ribadito una “fermissima” giurisprudenza precedente); decisione che quindi già si presentava come alternativa a quella del giudice amministrativo. Ossia già in origine, una volta posta la regola dell’alternatività recepita nell’art. 34, secondo comma, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 (t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato), poi ripetuta nell’art. 10 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (in materia di ricorsi amministrativi), il Consiglio di Stato non poteva essere chiamato due volte a pronunciarsi sullo stesso contenzioso: prima in sede consultiva e poi in sede giurisdizionale; altrimenti – ha significativamente rimarcato Cons. Stato, ad. plen., 10 giugno 1980, n. 22, cit. – “ne conseguirebbe una duplicazione di giudizi” e “la nullificazione del principio dell’alternatività”; così l’Adunanza Plenaria ha interpretato l’ultimo comma dell’art. 10 d.P.R. n. 1199 del 1971, cit., che prevede che, ove la controversia non sia trasferita dalla sede del ricorso straordinario all’ordinaria sede giurisdizionale, la decisione adottata con decreto presidenziale sul ricorso straordinario è impugnabile per vizi di forma o del procedimento.

Quindi la decisione del ricorso straordinario già esibiva, nel suo nucleo essenziale, la connotazione di decisione di giustizia pur se per vari aspetti, evidenziati dalla giurisprudenza di cui si è detto sopra, non poteva parlarsi di “funzione giurisdizionale” nel significato pregnante degli artt. 102, primo comma, e 103, primo comma, Cost..

D’altra parte, questo regime impugnatorio, che comportava che la decisione del ricorso straordinario faceva perno sulla delibazione del Consiglio di Stato in sede consultiva, rivelava anche il “nesso organico” e la “compenetrazione istituzionale” di tale decisione con il Consiglio di Stato quale organo di giustizia amministrativa ex art. 103, primo comma, Cost..

Ed allora, in sintesi, la decisione sul ricorso straordinario aveva fin dall’origine connotati di decisione di giustizia anche se non poteva parlarsi di “funzione giurisdizionale” pienamente realizzata. Ma una volta che il legislatore ordinario ne ha operato la revisione, depurando il procedimento da ciò che non era compatibile con la “funzione giurisdizionale”, la decisione del ricorso straordinario, nella parte in cui prende come contenuto il parere del Consiglio di Stato, rientra a pieno titolo nella garanzia costituzionale del primo comma dell’art. 103 Cost. che fa salvi, come giudici speciali, il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa.

20. Da ciò consegue anche che, in riferimento all’art. 69, comma 1, legge n. 69 del 2009, cit., che ha previsto la possibilità per il Consiglio di Stato, nella sede consultiva del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, di sollevare la questione incidentale di legittimità costituzionale, non si pone in realtà – e comunque non sarebbe rilevante nella specie – un problema di compatibilità con la riserva di legge costituzionale quanto alla disciplina di condizioni, forme e termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale (art. 137, primo comma, Cost.) non apparendo precluso al legislatore ordinario – nel rispetto del divieto di istituzione di nuovi giudici speciali – di riconoscere o conformare la natura giurisdizionale di una sede in cui una controversia è dibattuta tra le parti in contraddittorio ed è decisa da un giudice terzo ed imparziale; da ciò conseguendo la possibilità di sollevare l’incidente di costituzionalità per essere la questione “rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio” (art. 1 1. cost. 9 febbraio 1948, n.l, e art. 23 1. 11 marzo 1953, n. 87).

21. Da quanto finora argomentato consegue quindi che, se la decisione del ricorso straordinario è una decisione di giustizia che presuppone la giurisdizione del giudice amministrativo, deve necessariamente esserci il sindacato ultimo di queste Sezioni Unite, limitato ai motivi inerenti alla giurisdizione ex art. 111, ottavo comma, Cost. in quanto riferibile in un unico grado, per il contenuto recato nella decisione stessa, al Consiglio di Stato.

Pertanto il ricorso per cassazione proposto dal C.S.M. ai sensi dell’art. 362, primo comma, c.p.c. per motivi inerenti alla giurisdizione, che investe la decisione del ricorso straordinario nel contenuto recato dal parere (vincolante) del Consiglio di Stato, è, sotto questo profilo, ammissibile.

22. Nella specie però i vizi dedotti dal Consiglio ricorrente non sono in concreto riconducibili a motivi attinenti alla giurisdizione, né alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione atteso che il parere vincolante del Consiglio di Stato, che costituisce il contenuto della decisione del ricorso straordinario adottata con decreto del Presidente della Repubblica, verte nella tipica materia del rapporto di impiego pubblico del magistrato, la cui cognizione è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 3, comma 1, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), sicché sussiste il presupposto della giurisdizione amministrativa richiesto dall’art. 7, comma 8, cod. proc, amm. nel cui ambito si colloca anche la valutazione che il Consiglio di Stato ha fatto del rapporto tra la dispensa dal servizio per sopravvenuta inidoneità fisica del magistrato e la rimozione dall’ordine giudiziario come sanzione disciplinare.

Quindi il ricorso, ancorché ammissibile ai sensi dell’art. 362, primo comma, c.p.c., è sotto altro profilo inammissibile: le censure mosse dal Consiglio ricorrente non sono riconducibili a motivi attinenti alla giurisdizione, ma consistono in un’inammissibile censura di violazione di legge.

23. Deve infatti considerasi quanto segue.

Il Consiglio di Stato, nel suo parere, ha essenzialmente esaminato due questioni, una relativa alla possibilità di procedere alla dispensa dal servizio per motivi di salute del magistrato dott. Francesco Manzo, benché sospeso dalle funzioni e dallo stipendio in via cautelare e poi rimosso dall’ordine giudiziario, e l’altra relativa alla possibilità per il Consiglio Superiore della Magistratura di revocare, in via di autotutela e quindi d’ufficio, per motivi di opportunità, la già adottata deliberazione di dispensa dal servizio per inabilità permanente ed assoluta dello stesso magistrato.

Il Consiglio di Stato – dopo aver sottolineato da una parte l’autonomia funzionale e strutturale del procedimento di dispensa dal servizio rispetto al procedimento disciplinare e d’altra parte la legittimazione del C.S.M. a provvedere in merito alla domanda di dispensa dal servizio presentata dal dott. Francesco Manzo, inizialmente assentita dal Consiglio stesso con deliberazione del 17 novembre 2010 – ha ritenuto l’illegittimità della delibera del 12 gennaio 2011 di revoca della dispensa dal servizio fondata sull’esigenza di meglio verificare se la dispensa potesse disporsi in costanza di sospensione cautelare.

Ha in particolare osservato il Consiglio di Stato che il provvedimento di dispensa dal servizio per motivi di salute può essere adottato anche nei confronti del magistrato assoggettato a procedimento disciplinare, sempre che risulti accertato, come nella specie attestato nella suddetta delibera del 17 novembre 2010, lo stato di salute invalidante, che costituisce presupposto essenziale per la dispensa. Infatti – ha ritenuto il Consiglio di Stato – è ammissibile la dispensa dal servizio in costanza di procedimento disciplinare ed anche di sospensione cautelare dal servizio, poi seguita, in prosieguo di tempo, dall’irrogazione della sanzione della rimozione dall’ordine giudiziario; ciò perché in generale il ritardo nella definizione del proccdimcnto da parte della pubblica amministrazione non può ritorcersi a danno del dipendente che aspiri alla dispensa dal servizio. Sicché, il procedimento di dispensa dal servizio, avente come presupposto l’accertamento di un impedimento di tipo psico-fisico del magistrato, e, quindi, la sua incapacità ad adempiere convenientemente ed efficacemente i propri doveri, non poteva essere sospeso in attesa della conclusione del procedimento disciplinare.

Quanto poi alla revoca per motivi di opportunità della delibera di dispensa dal servizio, ha osservato il Consiglio di Stato che la revoca, a differenza dell’annullamento d’ufficio, non incide su atti amministrativi illegittimi, ma su atti amministrativi inopportuni ad effetti durevoli; essa, quindi, non trova applicazione nei riguardi di provvedimenti vincolati e ad effetti istantanei, quale la dispensa dal servizio per inabilità permanente. Ha pertanto ritenuto illegittima la delibera di revoca della dispensa dal servizio adottata per la necessità di approfondire la questione se l’accertamento della impossibilità di svolgere le funzioni di magistrato per inidoneità fisica potesse essere effettuato con riferimento al periodo in cui il dott. Manzo era impossibilitato ad esercitare le funzioni perché sospeso dal servizio in via cautelare.

Il Consiglio di Stato ha poi tenuto conto della sentenza 31 maggio 2011 n. 11964, pronunciata da queste Sezioni Unite, di rigetto del ricorso per cassazione proposto dal dott. Manzo avverso la decisione della Sezione Disciplinare del C.S.M. recante l’irrogazione della sanzione disciplinare della rimozione dall’ordine giudiziario; pronuncia questa che – ha precisato il Consiglio di Stato – attiene al procedimento disciplinare e nell’ambito di esso esaurisce la sua funzione e non può vincolare il giudice amministrativo – ritualmente adito dal magistrato in sede di impugnazione del provvedimento di revoca, in via di autotutela, del provvedimento di dispensa dal servizio – che è il solo giurisdizionalmente competente a conoscere del corretto uso del potere di autotutela, sotto il profilo della sussistenza o meno dei presupposti previsti dalla legge per il suo valido esercizio.

Pertanto le censure mosse dal ricorrente con i ricorsi straordinari riuniti sono state ritenute fondate con conseguente annullamento della delibera del C.S.M. adottata in data 12 gennaio 2011, con la quale era stata revocata in via di autotutela la precedente delibera consiliare del 17 novembre 2010 di dispensa dal servizio del ricorrente per motivi di salute.

24. Orbene, appare di tutta evidenza che il Consiglio di Stato si sia pronunciato nella tipica materia del rapporto di impiego del magistrato, devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo trattandosi di personale in regime di diritto pubblico ex art. 3 d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165; e che abbia esercitato tale giurisdizione interpretando le disposizioni che regolamentano la dispensa dal servizio per motivi di salute, lette a fronte di quelle che riguardano la rimozione dal servizio per motivi disciplinari.

Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, nell’esercizio del sindacato di legittimità sui provvedimenti del C.S.M. che attengono al rapporto di impiego del magistrato, la valutazione della possibilità, o no, per il magistrato di ottenere la dispensa dal servizio per inidoneità fisica alla funzione per il cui conseguimento lo stesso abbia presentato domanda prima che il procedimento disciplinare a suo carico si concluda con la rimozione dall’ordine giudiziario.

E’ questa una tipica questione di diritto che afferisce al sindacato di legittimità del giudice amministrativo e non attiene invece ai limiti esterni della giurisdizione.

In generale questa Corte (Cass., sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3688) ha affermato che il sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato è limitato all’accertamento dell’eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del Consiglio stesso, ovvero all’esistenza di vizi che riguardano l’essenza di tale funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio, restando, per converso, escluso ogni sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, cui attengono gli “errores in iudicando” o “in procedendo“; ed ha precisato che a tal riguardo, la censura relativa ad una pretesa violazione del giudicato, riguardando la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale del giudice adito, rimane estranea al controllo e al superamento dei limiti esterni della giurisdizione.

In sostanza il C.S.M. ricorrente si duole del fatto che il Consiglio di Stato non abbia considerato che – alla data in cui era stata adottata la delibera del 20 luglio 2011 di non doversi procedere in ordine alla domanda del dott. Manzo di dispensa dal servizio ai sensi dell’art. 3 del r.d.lgs. 31 maggio 1946 n. 511 e di liquidazione della pensione diretta di inabilità, per essere stato l’interessato rimosso dall’ordine giudiziario – si era già formato il giudicato sulla sentenza della stessa Sezione Disciplinare che aveva irrogato al dott. Manzo la sanzione della rimozione dall’ordine giudiziario; giudicato formatosi a seguito del rigetto del ricorso per cassazione avverso tale pronuncia. Non si sarebbe potuto quindi assentire – secondo il Consiglio ricorrente – la richiesta di dispensa dal servizio – la quale in generale è destinata ad essere efficace solo al momento in cui il decreto ministeriale, che recepisce la deliberazione del C.S.M., venga comunicato all’interessato – perché il rapporto di impiego doveva considerarsi già risolto per una ragione disciplinare.

Il Consiglio di Stato invece, nel suo parere trasfuso del decreto presidenziale di accoglimento dei ricorsi straordinari, non ha affatto ignorato tale giudicato, ma ha ritenuto che operasse su un piano diverso – quello disciplinare – che non precludeva l’accertamento di una diversa causa di cessazione del rapporto di impiego il cui presupposto (i.e. l’inidoneità fisica al servizio) si era verificato anteriormente ed il cui accertamento era stato domandato dal magistrato prima dell’adozione della sanzione disciplinare da parte della Sezione Disciplinare del C.S.M..

La successiva rimozione dall’ordine giudiziario non schermava il procedimento attivato con la domanda di dispensa dal servizio per inidoneità fisica e non faceva venir meno l’interesse del magistrato al provvedimento richiesto anche se il procedimento disciplinare, per ragioni contingenti, si era concluso prima con la formazione del giudicato a seguito della citata sentenza di questa corte.

Questa interpretazione della (ritenuta non incidenza) del procedimento disciplinare sul procedimento diretto a conseguire la dispensa può essere corretta o no. Ma rientra a pieno nel perimetro della giurisdizione del giudice amministrativo sul rapporto di impiego del magistrato.

Si ha quindi che il Consiglio di Stato non ha debordato dalla tipica cognizione del giudice amministrativo al quale è demandata l’interpretazione delle norme che regolano il rapporto di impiego del magistrato; mentre il C.S.M. ricorrente censura in realtà l’interpretazione accolta dal Consiglio di Stato e prospetta, come corretta, un’interpretazione opposta secondo cui, se il procedimento disciplinare si chiude con la formazione del giudicato sulla rimozione dall’ordine giudiziario, non c’è più materia per provvedere sulla dispensa dal servizio per motivi di salute.

Ma – si ripete – che questa interpretazione sia corretta o no attiene non già ai limiti esterni della giurisdizione amministrativa, ma al sindacato di legittimità (per violazione di legge) che è precluso nel caso di ricorso ex art. 362, primo comma, c.p.c., l’unico ammissibile – come sopra rilevato – ai sensi dell’art. 111, ottavo comma, Cost..

25. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile e, stante la particolare importanza della questione di diritto sopra esaminata, va enunciato, ai sensi dell’art. 384, primo comma, c.p.c., il seguente principio di diritto: «In caso di ricorso straordinario proposto ai sensi dell’art. 8 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, avverso atti amministrativi definitivi per motivi di legittimità, da parte di chi vi abbia interesse, ricorso ammissibile (ex art. 7, comma 8, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, recante il codice de! processo amministrativo) unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa, il decreto del Presidente della Repubblica che decide il ricorso straordinario in conformità del parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato (ex art. 14 dP.R. n. 1199/1971, come novellato dall’art. 69, secondo comma, legge 18 giugno 2009, n. 69), è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 362, primo comma, c.p.c. solo per motivi attinenti alla giurisdizione».

Sussistono giustificati motivi (in considerazione della novità della questioni trattate) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione tra il ricorrente C.S.M. ed il controricorrente dott. Manzo, mentre non occorre provvedere sulle spese per il Ministero intimato che non ha svolto difesa alcuna.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte, a Sezioni Unite, dichiara inammissibile il ricorso; compensa le spese di questo giudizio di cassazione tra il ricorrente C.S.M. ed il controricorrente Manzo; nulla sulle spese per il Ministero della giustizia.

Così deciso in Roma il 25 settembre 2012.

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2012.

Leave a Reply