I soggetti nel diritto amministrativo

I soggetti nel diritto amministrativo

di Rodolfo Murra – “I Soggetti” in “Corso di diritto amministrativo, con casi e materiali”, a cura di Solveig Cogliani, Cedam.

CAPITOLO II

I SOGGETTI

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Persone fisiche e giuridiche; persone giuridiche private e pubbliche. – 3. Il concetto di Ente pubblico. – 4. I sintomi rivelatori. – 5. Le difficoltà nell’individuazione della natura pubblica di un Ente. Gli enti privatizzati e l’organismo di diritto pubblico. – 6. Le caratteristiche principali degli Enti pubblici. – 7. Le varie distinzioni tra Enti pubblici. – 8. Il pluralismo della Pubblica amministrazione. – 9. Organi ed Uffici.

 1.    Introduzione.

Il tema dell’individuazione dei soggetti del diritto amministrativo è uno di quelli più spinosi da affrontare in qualsiasi trattazione sistematica[1]. E ciò, non tanto e non solo perché non esiste di fatto una normativa univoca in grado di indirizzare sul punto l’interprete, quanto perché la storia insegna che l’evoluzione perenne cui si assiste, su questo versante, nella concreta realtà fenomenologica, rende di fatto immediatamente obsoleto qualsiasi sforzo esegetico e di sistemazione generale.

Si vuol dire, in altri termini, che le categorie concettuali del diritto amministrativo, ed in primis quella che si riferisce ai relatori “attori”, si vanno sempre più rapidamente modificando con velocità impensabile sino a qualche decennio fa, dove era assai più chiaro cosa si intendesse per “ente pubblico”.

Di tali supersoniche trasformazioni risente, quindi, il tentativo di dare un assetto ordinato ad un tema che, invece, non tollera alcun esperimento in tal senso, essendo caratterizzato da fenomeni assolutamente peculiari e per certi versi contrapposti: si va dal caso dell’Ente pubblico per eccellenza che si trasforma in impresa, per giungere alla società per azioni che svolge compiti di interesse assolutamente pubblico.

Nelle pagine che seguono si cercherà di fornire un quadro d’insieme il più possibile chiaro ed esaustivo, compatibile, però, con le esigenze di sintesi e di generalità che un manuale destinato agli studenti non può in alcun modo trascurare.

 2. Persone fisiche e giuridiche; persone giuridiche private e pubbliche.

Nel settore del diritto in generale, un “ente” è sostanzialmente considerato un soggetto diverso dalle persone fisiche. Dunque, esistono nell’ordinamento “persone giuridiche”, che a loro volta possono dirsi titolari del relativo riconoscimento formale oppure no. Queste persone giuridiche, questi enti, possono essere pubblici o privati; ed al contempo quelli privati possono o meno aver ottenuto la personalità giuridica (c.d. enti di fatto).

Mentre è piuttosto agevole accertare se per una persona giuridica privata sussista o meno l’avvenuto riconoscimento della personalità giuridica, è alquanto difficile stabilire quando si è in presenza di un Ente avente natura pubblica. Un comitato di quartiere, un’associazione sportiva, finanche il condominio di edifici, sono di norma gruppi organizzati, od al più enti definiti “di gestione”, privi di personalità giuridica propria (con tutto ciò che ne consegue in tema di imputazione di diritti e di doveri e di attribuzione di responsabilità). Ma ciò che è certo è che in questi casi si parla di soggetti (anche se non fisici ma giuridici) privati: poco conta, ai fini dell’attribuzione della natura giuridica pubblica o privata, che il comitato di quartiere sia stato costituito per tutelare tutti, indistintamente, i cittadini di una determinata zona della città; è irrilevante che l’associazione sportiva persegua il benemerito scopo di consentire, a chiunque ne faccia richiesta, la pratica fisica, di fatto mirando ad un fine che potrebbe aver mille interessi collettivi; in entrambi i casi ci si trova infatti dinanzi ad una persona giuridica inequivocabilmente privata, cui non possono estendersi benefici e svantaggi che la legge riserva solo agli Enti pubblici.

3.    Il concetto di Ente pubblico.

Come chiarito in premessa, il tentativo di riuscire a fornire una definizione completa e soprattutto rispondente alla realtà del concetto di Ente pubblico è sovente frustrata. Ciò nonostante tale tentativo deve essere esperito comunque, essendo importante da un lato non rinunciare a darsi una spiegazione e, dall’altro, sforzarsi per individuare elementi in grado di orientarsi nella multiforme congerie di strutture soggettive che popolano il mondo del diritto pubblico.

Se da un lato esiste una norma del nostro ordinamento giuridico, la quale impone che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge (art. 4 l. 20.3.1975, n. 70), capita sempre più raramente che il legislatore qualifichi espressamente pubblico un ente. Nonostante il chiaro disposto della norma ora richiamata, che introduce una vera e propria riserva di legge in materia, non si esclude a priori la natura pubblica di un ente anche se la fonte primaria non lo abbia qualificato tale.

E’ ovvio che, in assenza di una declaratoria legislativa specifica, occorrerà allora – per appurare se un Ente sia pubblico o meno – scrutinare tutta una serie di elementi al fine di ivi rinvenire quelli che dottrina autorevole chiamava “indici di riconoscimento della natura pubblica dell’Ente”. E’ quindi indispensabile far riferimento al complesso di regole e di principi che disciplinano la vita e le funzioni della persona giuridica, specie con riguardo alla sua collocazione all’interno di apparati riconducibili a quella che è con certezza la Pubblica amministrazione, allo scopo di poter emettere il giudizio (assolutamente tutt’altro che neutro, come si vedrà), che quello che abbiamo di fronte è un Ente dotato di personalità giuridica pubblica.

4.   I sintomi rivelatori.

I c.d. indici di riconoscimento (che invero costituiscono veri e propri sintomi rilevatori) da passare in rassegna ai fini che qui interessano sono, ovviamente, da utilizzare sempre che difetti una chiara espressione legislativa che fughi qualsivoglia dubbio. Si tratta cioè del ricorso alternativo, volta a volta praticabile sulla base di una ricerca fondata sulla comparazione di elementi sintomatici, ad uno scrutinio di tipo oggettivo, in assenza di una previsione legislativa esplicita.

La creazione ad iniziativa pubblica certamente costituisce un indizio rilevante ad attribuire la natura pubblica ad un soggetto. Se è lo Stato, attraverso una legge, a costituire un Ente, ovvero ad attribuire ad una persona giuridica già esistente funzioni vitali per l’interesse della collettività, il fatto che la norma non qualifichi espressamente l’Ente come pubblico potrebbe essere irrilevante sul piano sostanziale.

Il finanziamento pubblico, in via istituzionale e costante, ovvero la partecipazione dello Stato o di altro ente sicuramente pubblico alle spese correnti di gestione, rappresenta altro sintomo rilevatore, atteso che è fatto divieto impiegare risorse finanziarie attinte dal bilancio dello Stato per attività che non hanno finalità di pubblico interesse.

Altro elemento orientativo è costituito dall’assoggettamento a controllo da parte di organi pubblici; in disparte la forma di penetrazione o di intensità del controllo esercitato (che poi aiuta a svelare il vero grado di “autonomia” del soggetto controllato), l’essere soggetto, ad esempio, a verifiche da parte della magistratura contabile induce di norma a ritenere che l’Ente abbia natura pubblica.

Infine, un ulteriore sintomo rilevatore è quello del tipo di ingerenza che esercita l’ordinamento giuridico pubblico sulla sfera di autonomia dell’Ente; se, ad esempio, i vertici gestionali di quest’ultimo sono nominati dallo Stato, ovvero è un organo statuale a contribuire a determinare le sue decisioni strategiche, e si è quindi di fronte ad una forma di amministrazione indiretta, sarà difficile negare la natura pubblica del soggetto inciso da così pesanti forme di intromissione.

Tuttavia nessuno di questi segni di riconoscimento consente agevolmente di qualificare l’Ente come pubblico. Esistono, infatti, esempi di enti che ottengono finanziamenti corposi dallo Stato (si pensi all’industria editoriale) ma che sono e restano privati; si rinvengono casi di persone giuridiche che hanno scelto di far nominare dalla Pubblica amministrazione un loro componente in seno al Consiglio di amministrazione e che non per questo possono essere qualificate pubbliche. E via dicendo.

Si vuol dire, in definitiva, che salvo gli Enti amministrativi previsti dalla Costituzione (e che compongono l’ossatura dello Stato-ordinamento) e quelli via via costituiti dalle leggi della Repubblica che li hanno espressamente accreditati come pubblici, il resto del nutrito panorama esistente è assoggettato a quella verifica di cui si parlava, affidata all’esame dei sintomi rilevatori, che – pure – potrebbe condurre ad un esito tutt’altro che scontato.

5.   Le difficoltà nell’individuazione della natura pubblica di un Ente. Gli enti privatizzati e l’organismo di diritto pubblico.

Si è detto che il metodo migliore per poter affermare che un ente sia pubblico è quello dato dalla esplicita previsione normativa. Si è anche visto che la classificazione degli enti come pubblici può avvenire, altrimenti, in relazione al tipo di funzione concretamente assegnatagli dall’ordinamento, ovvero alla loro struttura organizzativa, oppure con riguardo al rapporto con i soggetti che hanno partecipato alla loro formazione e che li controllano.

Per ciò che concerne il riconoscimento mediante apposita norma di legge va sottolineato, peraltro, che sarebbe illogica e quindi incostituzionale una disposizione che dovesse attribuire la natura pubblica ad un soggetto che presenti caratteristiche e funzioni eminentemente privatistiche. Emblematica fu al riguardo la vicenda dell’indiscriminato riconoscimento come Enti pubblici delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (I.P.A.B.), figure giuridiche sovente non riconducibili di primo impatto al novero delle amministrazioni pubbliche. Su tale vicenda la Corte costituzionale ebbe a pronunciarsi ed in quella occasione affrontò i limiti riguardanti la trasformazione legislativa in ente pubblico di un soggetto sino ad allora considerato una mera associazione privata. Se, infatti, una persona giuridica è stata costituita su base volontaria da parte di alcune persone fisiche, se il suo governo è affidato ad un organo eletto dai soli associati, se – infine – l’attività svolta si sviluppa attraverso prestazioni dei singoli soci ed è finanziata da un patrimonio formato in prevalenza da loro apporti economici, ebbene non si può dire di essere di fronte ad un Ente pubblico, nonostante tale soggetto eroghi attività assistenziale.

Su un altro versante, quello cioè della distinzione tra Enti pubblici e società di capitali che sono partecipate da Enti pubblici, l’individuazione dei caratteri distintivi diventa a volte veramente ardua. Nel tempo il fenomeno dell’intervento diretto dello Stato nell’imprenditoria ha assunto modalità diverse e spesso antitetiche: vi sono state epoche nelle quali lo Stato ha invaso letteralmente il mercato attraverso la creazione di enti e società strumentali (si pensi al caso delle c.d. partecipazioni statali, per il quale fu costituito addirittura un apposito Ministero), e vi sono stati momenti nei quali l’Amministrazione ha fatto un passo indietro, ritenendo che segnatamente quello della produzione di merci fosse un campo riservato alla imprenditoria privata, al libero mercato.

Negli ultimi anni in Italia si è assistito ad una manifestazione piuttosto massiccia consistente nella privatizzazione di Enti pubblici, sovente mediante il collocamento in borsa dei relativi pacchetti azionari; sul piano del diritto degli Enti territoriali, poi, fin dalla l. n. 142 del 1990, l’ordinamento ha previsto la creazione delle c.d. local public utility, soggetti generati dai Comuni e dalla Province per la gestione in forma imprenditoriale (e quindi di norma societaria, con capitale maggioritario in mano agli Enti creatori) dei servizi pubblici locali.

Tutti questi fenomeni, spesso tumultuosi, hanno vieppiù complicato il già non chiaro quadro d’insieme, in un ambito dove operano contestualmente società con personalità di diritto pubblico che si muovono utilizzando gli strumenti giuridici offerti dal diritto privato e società che sono invece deputate ad erogare servizi pubblici non in forma imprenditoriale.

Infine, con l’avvento della normazione comunitaria nell’ordinamento italiano ed in quello degli altri Stati appartenenti all’Unione Europea è stata introdotta – soprattutto con riguardo al tema dell’affidamento di lavori, servizi e forniture – la nozione di “organismo di diritto pubblico”[2], ovvero un soggetto giuridico collettivo, non necessariamente appartenente al settore pubblico, individuato per la prima volta dalla Direttiva CE n. 92/50[3] come “qualsiasi organismo istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale”. Si è in presenza, quindi, di soggetti giuridici controllati o sovvenzionati dallo Stato o da un altro Ente pubblico ed ai quali si estende la normativa, in punto di scelta del contraente, pubblicistica.

Più recentemente, la stessa Direttiva CE 18/04, all’articolo 1 co. 9 specifica che per organismo di diritto pubblico s’intende qualsiasi organismo: a) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, b) dotato di personalità giuridica, c) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli Enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli Enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.

Secondo l’interpretazione che ha dato sul punto la Corte di giustizia i tre elementi di individuazione dell’organismo di diritto pubblico (cioè: a) personalità giuridica; b) fine statutario che preveda il soddisfacimento di interessi pubblici; c) sottoposizione ad una sorta di “influenza” pubblica) hanno carattere cumulativo e devono sussistere contemporaneamente[4].

6.    Le caratteristiche principali degli Enti pubblici.

Una volta chiarito, nel concreto, che un Ente può senza dubbio essere definito come avente natura di organismo pubblico, esso possiede delle caratteristiche principali che sono comuni a tutte le persone giuridiche che svolgono la propria attività in regime di diritto amministrativo. Fermo restando che questi elementi sono di norma svariati, ai fini che qui interessano è sufficiente ricordarne tre: l’autarchia, l’autonomia e l’autorganizzazaione.

L’autarchia costituisce la potestà degli Enti pubblici di svolgere un’attività che ha gli stessi caratteri e la medesima efficacia di quella svolta dal potere esecutivo statuale. L’autarchia si risolve, in buona sostanza, nell’attribuire all’Ente un potere pubblico, che di fatto realizza una equiparazione giuridica degli effetti emananti dai suoi atti con quelli dei provvedimenti posti in essere dagli organi amministrativi dello Stato.

E dunque, una delle più spiccate qualità dell’autarchia è quella che riguarda la possibilità di adottare atti di natura amministrativa, sottoposti quindi alle regole che il diritto amministrativo determina per i provvedimenti di natura pubblicistica. Altro istituto riconnesso direttamente all’autarchia è quello dell’autotutela[5]: fenomeno attraverso il quale l’Ente pubblico non deve ricorrere ad altri poteri statuali per eseguire coattivamente gli effetti degli atti che adotta (c.d. autotutela esecutiva). Dato che, poi, l’Ente pubblico deve agire per il perseguimento di interessi generali, l’autotutela può spingersi sino al punto di consentire alla stessa Amministrazione di eliminare d’ufficio dal mondo giuridico i provvedimenti che essa ha posto in essere, qualora vengano ritenuti illegittimi (annullamento)[6] od anche semplicemente non più opportuni (revoca).

La seconda caratteristica fondamentale che appartiene agli Enti pubblici è quella dell’autonomia, vale a dire l’indipendenza della persona giuridica da qualsiasi altro soggetto nel compimento della propria attività istituzionale. Si intende per autonomia politica, in sostanza, la capacità dell’Ente di perseguire i propri scopi senza subire interferenze da parte di altri soggetti. Il concetto è poi esplicito soprattutto paragonandolo all’autonomia di cui godono gli enti privati con la formula generale secondo la quale, mentre i privati possono fare tutto ciò che la legge consente loro, gli enti pubblici compiono tutti gli atti che la legge non vieta. L’autonomia presenta varie sfaccettature, con riferimento alla gestione economico-finanziaria, al potere statutario, a quello regolamentare.

L’ultima caratteristica principale è, come detto, l’autorganizzazione, che si sostanzia fondamentalmente nel potere di scegliersi, senza intromissioni, l’organo di governo interno. Tale caratteristica, definita altrimenti autoamministrazione, assume varie forme a seconda del grado di libertà che l’Ente ha acquisito all’interno dei rapporti con gli organi dello Stato.

 1. Le varie distinzioni tra Enti pubblici.

Sono molte, e variegate, le distinzioni che la dottrina dominante ha operato nel tempo nel panorama complesso degli Enti pubblici.

La più importante è quella tra Enti territoriali e non territoriali, che si realizza operando la verifica circa uno degli elementi fondamentali: appartengono al primo genere quelle persone giuridiche pubbliche che hanno il territorio tra gli elementi indispensabili, e quindi indefettibili per la stessa esistenza dell’Ente. Tali sono ad esempio gli Enti locali (Province, Comuni, Comunità montane)  ma anche le stesse Regioni. Gli Enti pubblici che non hanno il territorio tra gli elementi fondanti si definiscono istituzionali (a loro volta presenti a livello nazionale o meno).

Altra distinzione la si ha tra gli Enti pubblici a carattere associativo ed Enti a carattere patrimoniale. Nei primi, prevale l’elemento dell’unione di più persone (sono tali gli Enti locali, ma anche gli Ordini professionali, ad esempio), nei secondi ciò che rileva è la componente del patrimonio (si pensi agli Enti di previdenza ovvero le fondazioni pubbliche) .

Sotto altro profilo è utile differenziare gli enti pubblici economici da quello che economici non sono (Enti autarchici tout court). Mentre questi ultimi operano mediante l’utilizzo degli strumenti giuridici tipici del diritto amministrativo, i primi (pur avendo personalità giuridica di diritto pubblico) agiscono mediante una veste che ricorda una vera e propria impresa, ed attuano modelli aziendalistici più o meno puri.

8.   Il pluralismo della Pubblica amministrazione.

Il primo soggetto pubblico, per eccellenza, è lo Stato. La sua composizione, sotto il profilo amministrativo, è nota: a livello centrale gli Uffici dell’esecutivo sono costituiti da Ministeri (il cui numero e la relativa struttura varia a seconda delle epoche, ed è rimesso alla legge: cfr. oggi l. 14.7.2008, n. 121, di conversione del d.l. 16.5.2008, n. 85), ma esistono anche uffici decentrati sul territorio (si pensi alle Prefetture, ora denominate Uffici territoriali del Governo).

Le venti Regioni (cinque a Statuto speciale) costituiscono un forte raccordo tra Stato ed Enti locali, cioè quella enorme massa di Province e soprattutto di Comuni che costituiscono l’ossatura storica del nostro ordinamento amministrativo.

Infine, si contano migliaia di Enti pubblici (da quelli previdenziali ed assistenziali, a quelli ordinamentali, a quelli del mondo della sanità per finire al settore della cultura).

Vien da chiedersi, allora, osservato questo sconfinato pluralismo, su quali basi si svolge il collegamento tra Autorità statale ed Enti che statali non sono. Esiste il fenomeno mediante il quale lo stato affida ad appositi Enti compiti propri ed esclusivi (si pensi al caso della statistica, appannaggio dell’Istat, ovvero delle opere stradali di interesse nazionale, dove opera l’Enas, o infine il controllo della politica valutaria, affidato alla Banca d’Italia): ovviamente tanto più il fine che l’Ente è chiamato a perseguire è di diretta derivazione statale, quanto meno autonomo e libero sarà l’Ente stesso nella sua azione (in questi casi l’Ente è definito infatti “governativo” per le ragioni che precedono).

Per talune finalità che sono anche (e, quindi, non solo) dello Stato, l’Amministrazione centrale può servirsi di enti strumentali che agiscono come veri e propri ausiliari. In questo caso il potere di ingerenza dello Stato non è così pregnante come nell’ipotesi degli Enti governativi (è il caso, tanto per fare un esempio, dell’informazione radio-televisiva, dove c’è la RAI).

Infine, vi è il mondo, estremamente eterogeneo, degli Enti autonomi in generale, costituiti per esigenze associative o per soddisfare finalità pubbliche ma per certi versi di settore (Camere di commercio, Ordini professionali, istituti di credito, organismi di vigilanza ed ispettivi, ecc.). Questi Enti di norma non perseguono scopi strettamente statuali e quindi possono anche non svolgere attività di diritto amministrativo; tuttavia la loro esistenza ed il loro agire non sono indifferenti per lo Stato, in quanto gli obiettivi che si ripromettono di raggiungere sono senz’altro meritevoli di pubblica tutela.

9.   Organi ed Uffici.

Le persone giuridiche, sia private che pubbliche, hanno ovviamente bisogno delle persone fisiche per manifestare la loro volontà. Mentre l’organizzazione interna degli Enti privati è di norma indifferente per l’ordinamento giuridico, per gli Enti pubblici il discorso è diverso e la loro struttura di regola si articola in organi ed uffici.

In generale per organo si intende la persona (in caso di organo individuale) o quel gruppo di persone (nelle ipotesi di organo collegiale) che sono preposte ad un centro di imputazione di poteri amministrativi, titolari perciò di una potestà pubblica. L’ufficio, invece, costituisce il complesso di uomini e mezzi deputato ad espletare un’attività strumentale che consenta all’organo di esercitare al meglio la potestà di cui è titolare.

Il vincolo che lega l’organo all’Ente pubblico è definito, quindi, rapporto organico, cioè una relazione di immedesimazione tra soggetto preposto alla funzione e l’Ente stesso. Per tale motivo si suol dire che tale relazione non è tanto di ordine giuridico quanto organizzativo. Ciò comporta che l’azione compiuta dal soggetto legato da rapporto organico è riferibile direttamente all’Ente, atteso che il titolare dell’organo esercita atti in nome e per conto della persona giuridica. Negli ultimi anni la posizione degli organi, le strutture cioè in grado di impegnare l’Ente all’esterno, è di molto mutata, grazie alla c.d. distinzione (inizialmente dovuta alla l. n. 29/1993) tra poteri di indirizzo e controllo (di norma affidati alle componenti di natura elettiva) e poteri di gestione (appartenenti all’apparato burocratico).

Se il rapporto organico non dà vita ad un nesso di ordine giuridico, viceversa il rapporto di servizio è la relazione che intercorre tra la persona fisica e l’Ente, in virtù della quale si hanno le diverse situazioni giuridiche soggettive che vantano, rispettivamente, l’una e l’altro (ad esempio, diritto alla retribuzione e dovere alla prestazione lavorativa): di norma questo rapporto si determina con un atto che si qualifica come “assunzione” del soggetto nell’organizzazione interna della persona giuridica pubblica.

 


[1] La letteratura in materia è pressoché sterminata. Oltre alla manualistica tradizionale ed a quella più recente (per la quale, per tutti, cfr. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, I, Milano, 2003, 622), si possono consultare trattazioni specifiche tra le quali si segnalano: G. ROSSI, Ente pubblico, in Enc. giur., XII, Roma, 1989; V. CERULLI IRELLI, Problemi della individuazione delle persone giuridiche pubbliche dopo la legge sul parastato, in Riv. trim. dir. pubbl., 1977, 626; R. SOPRANO, Per uno studio sugli Enti pubblici, Napoli, 1967; V. OTTAVIANO, Ente pubblico, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 633.

[2] Sul quale v. R. GAROFOLI, Organismo di diritto pubblico: il recente allineamento tra Giudice comunitario e nazionale e i profili ancora problematici, in Giust. amm., 2005, n. 2; cfr. Cass. 7.10.2008 n. 24722, in Giust. civ. Mass. 2008, 1437 e Cons. St., VI Sez., 19.5.2008 n. 2279, in FA, CdS, 2008, 1532.

(3) Vedi, in tema, Corte di giustizia CE, 9.6.2009 n. 480.

[4] Cfr. Corte di giustizia CE 1.2.2001.

[5] In generale G. CORAGGIO, Autotutela (dir. amm.), in Enc. giur., IV, Roma, 1988; F. BENVENUTI, Autotutela, in Enc. dir., IV, Milano, 1999, 537.

[6] Cfr. E. CANNADA-BARTOLI, Annullabilità e annullamento (dir. amm.), in Enc. dir., II, Milano, 1958, 484.

Leave a Reply