L’ACCESSO AGLI ATTI – Il caso (Cons. St., sez. V, 10.2.2009, n. 741)

L’ACCESSO AGLI ATTI – Il caso (Cons. St., sez. V, 10.2.2009, n. 741)

di Valeria Coppola e Rodolfo Murra – in “L’accesso agli atti” in “Corso di diritto amministrativo, con casi e materiali”, a cura di Solveig Cogliani, Cedam.

 

 6.20 L’ACCESSO AGLI ATTI

SOMMARIO: 6.20. L’accesso agli atti. 6.20.1. Il caso (Cons. St., sez. V, 10.2.2009, n. 741). 6.20.2. Il fatto. 6.20.3. L’approfondimento. 6.20.4. Conclusioni.

6.20. L’accesso agli atti.

6.20.1. Il caso.

Cons. St., Sez. V, 10.2.2009, n. 741 (1)

 Procedimento amministrativo – Accesso ai documenti amministrativi – Limiti esterni all’esercizio – Affievolimento diritto soggettivo ad interesse legittimo – Condizioni.

Il Legislatore ha introdotto limiti esterni all’esercizio del diritto di accesso (ad esempio mediante l’emanazione di regolamenti in ordine ai quali l’amministrazione conserva poteri discrezionali) affievolendo, così, ad interesse legittimo una posizione astrattamente di diritto; pertanto, quando l’interesse sia strumentale rispetto alla protezione di un’ulteriore situazione soggettiva e quando sia personale, concreto, serio e non emulativo, pur senza la necessità dell’attualità della lesione, la posizione giuridica soggettiva cui si correla il diritto di accesso è di interesse legittimo.

Procedimento amministrativo – Accesso ai documenti amministrativi – Interesse – Conoscenza parziale documenti – Reiterazione istanza – Sussiste.

L’interesse a proporre istanza d’accesso ex art. 25 l. 7.8.1990, n. 241 sussiste anche qualora l’interessato abbia dimostrato di conoscere parzialmente i documenti richiesti o quando l’esibizione degli stessi sia stata avanzata nel corso di un precedente giudizio (2).

6.20.2. Il Fatto.

Con la decisione n. 741/2009, il Consiglio di Stato si è pronunziato sulla richiesta di riforma, proposta in appello, della sentenza resa dal T.A.R. Lazio, sez. III quater, n. 2599/2008.

Il deducente, dipendente della p.a., aveva impugnato, in un precedente ricorso, gli atti di indizione di un concorso pubblico per titoli ed esami, bandito per la copertura di n. 8 posti di dirigente amministrativo, proponendo in seguito, nei confronti dell’amministrazione, actio ad exhibendum relativamente a determinati atti. Successivamente, formatosi il silenzio-diniego, non impugnato, l’aspirante accedente, con una seconda istanza, tornava a chiedere l’accesso ai suindicati documenti ed avverso il diniego espresso proponeva ricorso, con esito favorevole, innanzi al G.A.

Il Tribunale di prime cure, risolte preventivamente le eccezioni di inammissibilità del ricorso, lo accoglieva parzialmente e dichiarava l’illegittimità del diniego, ordinando al soggetto passivo di consentire all’istante di prendere visione e di estrarre copia della documentazione de qua, così come previsto dagli artt. 22 e ss. della l. 7.8.1990, n. 241.

Il Consiglio di Stato rigettava l’appello proposto dall’amministrazione e, per l’effetto, ricorrendo, nella specie, fatti nuovi e sopravvenuti, non rappresentati nell’originaria domanda, nonché la prospettazione di un interesse giuridicamente rilevante, riteneva pienamente ammissibile la seconda istanza di accesso. 

La decisione in oggetto riveste un notevole interesse, per l’argomento in trattazione, poiché, tra i molteplici profili analizzati, coglie lo spunto per un’approfondita disamina sulla natura giuridica dell’istituto dell’accesso ai documenti amministrativi, attraverso un’indagine dell’evoluzione giurisprudenziale sul tema.

6.20.3. L’approfondimento.

La qualificazione della natura giuridica dell’accesso è, da tempo, una delle questioni più dibattute sia in dottrina che in giurisprudenza. Tale questione non riveste solamente rilievo teorico, ma anche e soprattutto pratico, incidendo la natura di diritto soggettivo o di interesse legittimo sui profili della tutela giurisdizionale dell’accesso medesimo.

Va precisato che l’istituto ora menzionato è stato introdotto, quale principio generale dell’ordinamento giuridico, ad opera della l. n. 241 cit. (c.d. legge sul procedimento amministrativo), in attuazione dei principi di buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 97 cost.

In particolare, tale legge, specifica che le finalità perseguite dalla normativa in materia di accesso si ravvisano nella trasparenza – da intendersi come immediata controllabilità di tutti i passaggi in cui si esplica l’operato della p.a. – e nella garanzia dello svolgimento imparziale dell’azione amministrativa, che si inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e all’attività amministrativa.

La lettera a) del co. 1° dell’art. 22, nella versione novellata dalla l. 21.2.2005, n. 15, individua l’accesso quale “diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi”.

Dietro tale definizione – apparentemente priva di qualsivoglia originalità – si cela uno dei più significativi paradossi del nostro attuale ordinamento: l’esistenza di un diritto definito tale dalla sua fonte istitutiva, ma al quale, in molti e per lungo tempo, hanno attribuito e attribuiscono tutt’oggi il valore di interesse legittimo, ossia di una situazione giuridica soggettiva, se non declassata, quantomeno differente da quella formalmente delineata dal disposto della norma.

Studi autorevoli insegnano che il diritto soggettivo e l’interesse legittimo sono gli strumenti, storicamente individuati dal legislatore, per dare “dignità” giuridica all’interesse materiale al bene della vita; l’ordinamento giuridico mira, infatti, a disciplinare gli interessi materiali dei soggetti nei limiti in cui siano ritenuti giuridicamente rilevanti.

Il richiamo a tali nozioni basilari consente di affermare che ciò che caratterizza e distingue l’interesse legittimo dal diritto soggettivo è solamente il modo o la misura con cui l’interesse sostanziale ottiene protezione (3).

La problematica in trattazione nasce da lontano, originando dalle contrastanti e disomogenee previsioni normative in materia, contenute, da un lato, nella l. 8.6.1990, n. 142, la quale statuisce la pubblicità, anche nella versione confluita nel T.U.E.L., introdotto dal d.lgs. 18.8.2000, n. 267, di tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale, senza fissare, sotto il profilo soggettivo, alcun limite alla loro conoscibilità, se non quello della riservatezza e, dall’altro, nella l. n. 241 cit., che, al contrario, subordina il diritto di visionare i documenti in possesso della p.a. alla “tutela di una situazione giuridicamente rilevante” (4).

Dalla discrasia delle richiamate opzioni legislative si è desunto che, nella legge sull’autonomie locali, l’accesso rientra nella categoria dei diritti soggettivi; per converso, nella legge sulla trasparenza, lo stesso si atteggia ad interesse legittimo.

Appare, dunque, necessario esaminare attentamente le due differenti correnti di pensiero che hanno dato vita alla disamina concernente la natura giuridica dell’accesso.

La soluzione che propende per la riconducibilità dell’istituto al quadro degli interessi legittimi è fondata essenzialmente su quattro ordini di considerazioni:

a) nella Carta costituzionale, nonché nella legge sul procedimento amministrativo, il termine “diritto” è frequentemente utilizzato in senso generico (ex art. 4, diritto al lavoro) (5).

b)      l’attribuzione di diritti soggettivi alla giurisdizione del G.A. costituisce un’eccezione alla regola generale sancita dall’art. 24 cost., tale da richiedere un’esplicita indicazione legislativa, nella specie mancante, sicché, si ricade nel contesto della giurisdizione di legittimità e, quindi, non è possibile parlare di diritti soggettivi in quanto, altrimenti, la giurisdizione in materia spetterebbe al giudice ordinario (6).

c)      la p.a. gode di un apprezzabile margine di discrezionalità sotto diversi profili: in sede di verifica della ricorrenza della situazione legittimante differenziata che deve giustificare la richiesta di accesso; circa la possibilità di differire l’accesso ove lo stesso possa ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa; inoltre, ha il potere di varare regolamenti, i quali, oltre a precisare le modalità di esercizio del diritto di accesso, hanno il compito di definirne i casi di esclusione.

A ben vedere, a fronte di questo ampio potere discrezionale dell’autorità pubblica, sarebbe inconfigurabile un diritto soggettivo (7). 

d) l’art. 25 l. n. 241 cit. fissa un termine di decadenza ai fini dell’esperimento del ricorso giurisdizionale avverso il diniego o il silenzio in materia di accesso; anche questa previsione si pone in linea con la tesi dell’interesse legittimo, in quanto se si trattasse di diritto soggettivo si dovrebbe parlare di termine di prescrizione.

Secondo un diverso orientamento, invece, la fattispecie in epigrafe, deve essere ricondotta nell’alveo dei diritti soggettivi, per diverse ragioni:

in primis, da un punto di vista sostanziale, perché la p.a., di fronte ad un’istanza, si limita ad accertare la sussistenza della situazione legittimante, senza operare alcuna valutazione di merito sulla stessa: si tratterebbe, quindi, di un’attività vincolata, di carattere tecnico-giuridico, priva di qualsiasi scelta discrezionale; inoltre, circa la discrezionalità spettante alla p.a. nell’emanare norme regolamentari, va osservato che la stessa deve valutare l’istanza avuto riguardo al quadro normativo (anche regolamentare) esistente nel momento in cui questa è proposta; pertanto, nel momento della decisione, la p.a. risulta vincolata dalle prescrizioni di legge e dai limiti regolamentari di attuazione e non ha particolari poteri discrezionali da spendere;

– in secundis, da un punto di vista processuale, il giudice, in caso di accoglimento del ricorso in siffatta materia, non si limita ad annullare il provvedimento, ma ordina anche l’accesso, imponendo in tal modo un facere alla p.a.; la pronunzia giurisdizionale è, in definitiva, diretta all’accertamento sostanziale della spettanza dell’accesso senza che residui in capo alla p.a. alcun potere discrezionale di verificare la ricorrenza degli estremi della richiesta, come sarebbe logico se si fosse al cospetto di un interesse legittimo; riguardo al termine di decadenza, invece, va rilevato che nell’ordinamento giuridico vi sono altri casi in cui la tutela giurisdizionale di un diritto soggettivo viene sottoposta, per motivi di certezza, ad una previsione di decadenza (si è soliti citare il caso del termine di decadenza per contestare gli accertamenti tributari o quello relativo alla garanzia per i vizi o per l’evizione), ma, certamente, ciò non incide sulla natura sostanziale della posizione in gioco.

Il contrasto sopra delineato è stato, diffusamente ed in maniera ormai “quasi” consolidata, risolto dalla giurisprudenza amministrativa. 

In particolare, è sufficiente richiamare la decisione dell’Ad. Plen., 24.6.1999, n. 16 (8), la quale, essendo di contrario avviso alla ricostruzione dell’accesso quale diritto soggettivo, ha affermato che il giudizio introdotto con il ricorso ex art. 25 l. n. 241 cit., ha natura impugnatoria di un provvedimento autoritativo di diniego (o dell’inerzia) della p.a., per cui è sottoposto alla generale disciplina del processo amministrativo, che garantisce il soddisfacimento dell’interesse pubblico; dunque, poiché tale processo, nella sua configurazione tipica, è preordinato alla tutela di interessi legittimi, se ne ricava la conseguenza che anche la situazione giuridica soggettiva ha la medesima consistenza.

Osservano, inoltre, i giudici di Palazzo Spada, che la qualificazione data dal legislatore alla situazione soggettiva dell’istante non è significativa della consistenza giuridica di questa, essendo frequenti i casi in cui tanto nel linguaggio comune, quanto in quello del legislatore, si impiega il termine “diritto” (più volte adoperato nel suo senso più generico come nei richiamati artt. da 22 a 25) in senso “atecnico”, pur essendo pacifico trattarsi, invece, di un interesse legittimo. Esemplificando, chi aspira a concludere un contratto di appalto con la p.a., ne ha “diritto” secondo il linguaggio comune, ma sul piano giuridico può impugnare innanzi al G.A., entro il prescritto termine di decadenza, il provvedimento concretamente lesivo che abbia disconosciuto tale posizione, da qualificare, pertanto, come interesse legittimo.

Più in generale, secondo tale orientamento, è ravvisabile una posizione di interesse legittimo, tutelata dall’art. 103 cost., quando un provvedimento amministrativo è impugnabile, come di regola, entro un termine perentorio; ciò anche se esso incide su posizioni che, nel linguaggio comune, sono più spesso definite come di “diritto”, termine da considerare, nella ipotesi de qua, come una categoria non giuridica, essenzialmente di politica del diritto (9).

La vexata quaestio, è rimasta ad ogni modo aperta, anche dopo il contributo della Plenaria del 1999; si rinviene, infatti, nella giurisprudenza amministrativa – insieme ad interventi in linea con la decisione suddetta (ad es. sez. V, 5034/03 e n. 1969/04), pronunce, anche interlocutorie, che propendono ancora per la configurabilità dell’accesso in termini di diritto soggettivo (10), le quali mettono in dubbio la statuizione della Plenaria del 1999, con riguardo all’influenza della normativa sopravvenuta di cui alla l. n. 15 cit., laddove, ai sensi dell’art. 22, co. 2°, della modificata l. n. 241 cit., si qualifica il diritto di accesso come inerente “ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

Alla luce di tali modifiche legislative, la linea ermeneutica dell’orientamento tradizionale è ritenuta, pertanto, non più impermeabile: sostenere che la natura giuridica di “interesse legittimo” discenda tout court dalla previsione di un termine decadenziale, incompatibile con le situazioni giuridiche soggettive aventi lo spessore del diritto soggettivo, appare in pieno contrasto con le riforme apportate dalla legislazione del 2005.

La Plenaria del 2006, senza prendere posizione sulla natura della posizione giuridica ascrivibile all’accesso, precisa che se la tesi che opta per la natura di interesse legittimo è mossa dall’intenzione di evitare l’abbattimento del termine decadenziale, pendente sulle azioni giudiziarie, lo stesso risultato può essere raggiunto aliunde poiché diritto soggettivo e termine di decadenza possono coesistere senza aporie nel tessuto dogmatico (11).

Sul piano processuale, i giudici hanno concluso nel riconoscere che il termine di trenta giorni, per la proposizione del ricorso in detta materia, è posto a pena di decadenza, specificando, però, che la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente la reiterabilità dell’istanza, a meno che questa non si basi su fatti nuovi o sopravvenuti, e la conseguente impugnazione del successivo diniego laddove questo abbia carattere meramente confermativo del primo.

Il nodo interpretativo è solo apparentemente sciolto.

La disputa sul punto continua ad essere particolarmente vivace stante la continua evoluzione giurisprudenziale.

Segnatamente, la lettura della pronunzia riportata in massima (n. 741/2009), richiamando la decisione n. 6/1999, ribadisce con fermezza che il legislatore ha introdotto limiti esterni all’esercizio del diritto di accesso (mediante anche l’emanazione di regolamenti in ordine ai quali la p.a. conserva poteri discrezionali), affievolendo così ad interesse legittimo una posizione astrattamente di diritto.

L’interesse per esistere deve mostrare una qualche strumentalità rispetto alla protezione di un’ulteriore situazione soggettiva che non necessariamente deve essere d’interesse legittimo o di diritto soggettivo. La strumentalità del diritto di accesso richiede la prospettazione di un interesse personale, concreto, serio e non emulativo, pur senza la necessità dell’attualità di una lesione della sottesa posizione giuridica che resta estranea al giudizio d’accesso.

Tale decisione, dunque, sottolineando il collegamento della posizione del privato con l’interesse pubblico, torna a qualificare d’interesse legittimo, il diritto di accesso, determinando un’ulteriore inversione di tendenza sulla problematica in oggetto.

6.20.4. Conclusioni.

Come è noto, il problema della natura giuridica dell’accesso, è terreno che ha registrato, negli anni, ampio ed irrisolto contrasto sia in dottrina che in giurisprudenza. Mentre in un primo tempo è risultata prevalente la ricostruzione del diritto di accesso in termini di diritto soggettivo, in seguito numerose pronunce hanno sostenuto la natura di interesse legittimo. Quest’ultima corrente giurisprudenziale, pur non pacifica, ha ricevuto l’autorevole avallo dell’Ad. Plen. del 1999 che, per i motivi sopra ampliamente illustrati, propende in favore della sua riconduzione alla categoria dell’interesse legittimo. Ciò nonostante, anche dopo la pubblicazione della indicata sentenza non sono mancate, peraltro, voci contrarie in dottrina, oltre che in giurisprudenza (come l’Ad. Plen del 2006 che sposa la ricostruzione unitaria del diritto soggettivo ad opera della decisione del Cons. St., n. 2938/2003), le quali, demolendo punto per punto i passaggi della parabola argomentativa tracciata dai fautori della qualificazione in termini di interesse legittimo, hanno perseverato nel qualificare quello all’accesso come diritto soggettivo.

A provocare un’ulteriore e profonda oscillazione sul tema, è intervenuta oggi la menzionata sentenza n. 741 cit., che, con molteplici obiter dictum, prende posizione, condividendo la tesi maggioritaria in giurisprudenza ma recessiva in dottrina, secondo cui si tratterebbe di interesse legittimo.

In conclusione, il fatto che molteplici decisioni del Supremo Consesso amministrativo sono dedicate alla fattispecie de qua, è indice delle oscillazioni della giurisprudenza intervenuta relativamente a tale querelle e delle difficoltà di interpretazione e di applicazione delle disposizioni che tale istituto hanno introdotto, le quali tutt’oggi, pur in presenza del revirement operato dalla sentenza n. 741 cit., sembrano rimaste irrisolte, continuando tale problematica a costituire oggetto di animata discussione.

 

 

 

 

 

 


[1] Il testo della sentenza è tratto dal sito internet ufficiale della giustizia amministrativa.

[2] Massime a cura dell’autore. Alla ricerca del materiale ed alla stesura del lavoro ha collaborato la dott.ssa Valeria Coppola.

[3] G.P. CIRILLO, Il danno da illegittimità dell’azione amministrativa e giudizio risarcitorio, Padova, 2003, 80.

[4] Come si evince dal verbale n. 3 del 18 dicembre 1991, in L’accesso ai documenti amministrativi. Testi, norme, documenti opinioni, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1, 19, già in una delle prime sedute, la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, istituita ai sensi dell’art. 27 l. n. 241 cit., sottolinea “l’importanza di definire il diritto di accesso in termini di diritto soggettivo perfetto”; l’impellente necessità di optare per una definizione specifica dell’istituto, va al di là di una mera esigenza “classificatoria”, essendo tale predeterminazione finalizzata ad ampliare l’ambito di operatività dell’accesso stesso.

[5] In senso contrario, A. SIMONATI, La tutela del diritto di accesso, in Giornale dir. Amm., 2003, n. 12, 1283, secondo cui la considerazione che il nomen “diritto” è utilizzato con un significato “atecnico” in alcune disposizioni anche di rango costituzionale, non può indurre l’interprete a concludere che, a tale espressione, debba attribuirsi la medesima portata anche quando è utilizzata in un contesto settoriale e specifico, qual’è appunto la l. 241 cit.

[6] Tale eccezione non è più condivisibile dopo la massiccia attribuzione al G.A. di giurisdizione sui diritti, operata dalla l. n. 205 cit. (in tal senso, C. BIAGINI, “Brevi riflessioni sulla Commissione per l’accesso ai documenti ammnistrativi” in Corso di diritto amministrativo, a cura di F. CARINGELLA, Milano, 2003, 1806; Cass., Sez. Un., 16.12.1996, n. 11214, in FI, 1997, I, 808; Cons. St., sez. VI, 27.5.2003, n. 2938, in Giur. it. 2003, 2179). Ad avallare l’impostazione descritta, milita l’atto parl. Sen. n. 1281, XIV° legislatura, che ha inserito il diritto di accesso tra i “diritti civili e sociali” di cui all’art. 117 lett. m) cost., precisando che le controversie in materia di accesso sono devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A.

[7] Sempre sul punto, vi sono altre tesi che, sviluppando ulteriormente la ricostruzione dell’interesse legittimo, affermano la necessità di distinguere i diversi tipi di accesso: nel caso di accesso a documenti contenenti dati di terzi, la posizione del richiedente sarebbe di interesse legittimo, poiché sussiste un potere discrezionale della p.a. di bilanciare le contrapposte esigenze, dando prevalenza all’una piuttosto che all’altra (ravvisa un potere discrezionale, in particolare, F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2003, 1779); nel caso in cui gli atti oggetto di accesso siano privi di tali dati, viceversa, la posizione del privato dovrebbe qualificarsi in termini di diritto soggettivo, stante l’assenza di poteri discrezionali in capo all’amministrazione.

[8] Cons. St., Ad. Plen. 24.6.1999, n. 16, in Urb. e app., 1999, 861.

[9] Secondo C. CACCIAVILLANI, Il diritto di accesso è interesse legittimo, in Dir. proc. amm., 2000, 1, 154, non è condivisibile il rilievo svolto dall’Ad. Plen. del 1999, che ravvisa la posizione di interesse legittimo, tutelata dall’art. 103 cost., quando un provvedimento amministrativo è impugnabile entro un termine perentorio, limitando, tale norma, a demandare al G.A. la tutela delle situazioni sostanziali di interesse legittimo, senza individuare alcuna perentorietà del termine per l’esperimento dell’azione; dunque, nulla vieterebbe al legislatore di escludere per il ricorso al G.A. – senza con ciò in alcun modo incidere sul disposto della norma costituzionale – qualsiasi termine. Sempre a detta dell’autrice, è senz’altro da condividere la conclusione cui perviene l’Ad. Plen., (secondo cui l’accesso agli atti amministrativi si configura come interesse legittimo), ma per ragioni diverse da quelle indicate nella decisione: ben più convincenti appaiono le argomentazioni addotte, a sostegno della qualificazione in discorso, dalla decisione del Cons. St., sez. V, 2.12.1998, n. 1725, in FA, 1998, 3126, per la quale “nel comune linguaggio giuridico la questione è di interesse legittimo quando è disciplinata dalla legge per prevalenti ragioni di interesse pubblico, ed è di diritto soggettivo quando è invece regolata mettendosi su un piano di parità le posizioni delle parti. La comune convenzione interpretativa riconosce poi automaticamente come d’interesse legittimo ogni rapporto nel quale l’autorità amministrativa sia dotata di poteri discrezionali”.

[10] Ex multis, Cons. St., sez. VI, 9.9.2005, n. 4686, in FA, 2005, 2676; Id., 7.6.2005, n. 2954, ivi, 2005, 6, 1824; Id., 27.5.2003, n. 2938 cit., ritiene che il potere di accedere agli atti formati dalla p.a. costituisce un diritto soggettivo perfetto, e non già un diritto amministrativo. Inoltre, a corollario della configurabilità dell’accesso come diritto soggettivo, per i giudici di Palazzo Spada costituirebbe un’evidente discrasia che solamente gli accessi disciplinati dalla l. n. 241 cit., rappresentanti oltretutto una minoranza, avessero natura di interesse legittimo, essendo intervenuti gli artt. 19 e 43 del T.U.E.L., che assicurano ai cittadini il diritto di accedere a “tutti” gli atti. Ciò anche in relazione alla nuova formulazione dell’art. 114 cost. che ha ribaltato la tradizionale piramide delle p.a., ponendo al suo vertice comuni e province. Tali norme sono pacificamente intese nel senso di attribuire agli interessati un vero e proprio diritto soggettivo all’accesso.

Sulla stessa linea, Cons. di St., sez. VI, 12.4.2005, n. 1679, in FA, 2005, 4, 1168, per cui il diritto di accesso ha natura di vero e proprio diritto soggettivo, essendo previsto da una legge di settore che ne disciplina minutamente l’attribuzione e l’esercizio nell’esclusivo interesse del richiedente, limitandolo solo a fronte di specifiche e tassative esigenze di riservatezza (dei terzi o della p.a. stessa) stabilite dalla legge e non per mere valutazioni di opportunità di chi detiene il documento.

[11] Nel caso oggetto dell’Ad. Plen., 18.4.2006, n. 6, in FI, 2006, 7-8, 377, il ricorrente aveva reiterato la propria istanza di accesso agli atti, in seguito ad una prima pronunzia di reiezione della p.a., evadendo, in tal modo, lo sbarramento decadenziale ex art. 25 l. n. 241 cit.; avverso il secondo diniego, l’istante proponeva ricorso, accolto poi dal T.A.R.; l’appello proposto dall’amministrazione veniva assegnato alla sez. VI del Cons. St., la quale, con ordinanza n. 4686/2005, rimetteva l’affare all’Ad. Plen., in relazione alla questione dell’inammissibilità dell’impugnazione proposta (a fronte di più dinieghi all’accesso) solamente avverso l’ultimo diniego (dunque, in mancanza di tempestiva impugnazione degli analoghi dinieghi precedentemente opposti). Difatti, la sez. VI, pur propendendo per la configurabilità dell’accesso in termini di diritto soggettivo, riteneva che il provvedimento di diniego dovesse essere impugnato nel termine di trenta giorni, puntualizzando che la consistenza di diritto soggettivo non escludeva la predetta natura decadenziale.

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