Il pendolo dell’accesso: tra diritto all’ostensione ed esigenze di riservatezza

Il pendolo dell’accesso: tra diritto all’ostensione ed esigenze di riservatezza

Il pendolo dell’accesso: tra diritto all’ostensione ed esigenze di riservatezza –

di Fabiana Misino e Rodolfo Murra 

Sommario: 1.- Accesso e riservatezza: i termini della questione. 2.- La partecipazione al procedimento di accesso dei controinteressati. 3.- L’opposizione del controinteressato.

 1.- Accesso e riservatezza: i termini della questione.

 Numerose sono le difficoltà applicative sorte in relazione al delicato problema del bilanciamento tra l’esigenza di trasparenza sottesa all’accesso ed il bisogno di riservatezza che invece assiste l’interesse di chi non intende veder divulgati dati personali che lo riguardino.

Si tratta di un problema che oggi si pone in modo molto ricorrente, in quanto a differenza che in passato, l’Amministrazione non è più retta dalla regola del segreto, insuscettibile di creare conflitti con posizioni di interesse legate alla riservatezza, ma dall’opposta direttiva della trasparenza, che invece entra in conflitto proprio con l’esigenza di non divulgare dati personali altrui. L’art. 15 D.P.R. n. 3 del 1957 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), statuiva che l’impiegato era vincolato al segreto d’ufficio e dunque non poteva trasmettere, a chi non ne avesse diritto, informazioni o comunicazioni relative a provvedimenti ed operazioni amministrative di qualsiasi natura, quando potesse derivarne danno per l’Amministrazione o per soggetti terzi. Questa disposizione è stata sostituita dall’art. 28 L. n. 241/90, in virtù del quale si è capovolto l’originario regime del rapporto tra segreto e trasparenza, il che, si può dire, ha costituito ciò che poi avrebbe posto le premesse del conflitto tra accesso e riservatezza[1]; infatti, come è noto, la possibilità di accesso ai documenti della P.A., è stata introdotta proprio dalla L. 241/90, finalizzata così a dare attuazione ai principi dettati dall’art. 97 Cost. in tema di imparzialità e buon andamento della Pubblica amministrazione, che sino ad allora non avevano mai trovato una vera e propria applicazione all’interno del nostro ordinamento giuridico[2].

Pertanto, dopo l’entrata vigore della L. 241/90 e prima della L. 675/96, si riteneva che l’accesso ai documenti amministrativi prevalesse sulla riservatezza, in parte per la mancanza di una disciplina specifica in tema di privacy ed in parte per tutelare la ratio di trasparenza dell’azione amministrativa espressa con la L. 241/90. In un primo momento, anche l’orientamento giurisprudenziale prevalente accordava una netta prevalenza al diritto di accesso rispetto alle ragioni di riservatezza. La prevalenza del diritto di accesso era ancorata a due condizioni: l’accesso doveva mirare alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti e doveva  limitarsi alla sola possibilità di prendere visione degli atti (restando così escluso il rilascio di copie). Un siffatto orientamento, ponendo come regola generale la prevalenza della conoscibilità degli atti amministrativi sul diritto alla riservatezza dei terzi, impediva di valutare il caso concreto, e proprio per questo divenne oggetto di severe critiche.

L’entrata in vigore della prima legge sul trattamento dei dati personali (L. n. 675/96), ha innescato una serie di problemi, in quanto essa non abrogava la disciplina contenuta nella L. 241/90, ma al tempo stesso determinava una variazione nell’orientamento giurisprudenziale dell’epoca, culminato nella decisione del Consiglio di Stato del 26 gennaio 1999 n. 59, la cui massima suona così: “A seguito dell’entrata in vigore della L. n. 675 del 1996, nel caso di richiesta di accesso a documenti contenenti dati personali relativi a terzi posseduti da una p.a., il diritto alla difesa prevale su quello alla riservatezza solo se una disposizione di legge espressamente consenta al soggetto pubblico di comunicare a privati i dati oggetto di richiesta”.

In sostanza, la soluzione interpretativa proposta dal Consiglio di Stato, che prese il nome di “doppio binario”, stabiliva che, per i dati comuni (ossia non sensibili) l’accesso doveva essere consentito solo per la tutela di interessi rilevanti ed essere limitato alla sola presa visione del documento, mentre per i dati sensibili, l’accesso sarebbe stato consentito solo là dove fosse presente una specifica disposizione di legge che evidenziasse le finalità di pubblico interesse, le operazioni eseguibili ed i dati trattabili.

Pertanto, come si può notare,  il punto di riferimento era rappresentato dai dati sensibili, in quanto solo in presenza di quest’ultimi veniva a determinarsi un limite invalicabile al diritto di accesso, rimanendo fermo comunque il proposito di favore, rispetto al principio di trasparenza dell’azione amministrativa, in tutti gli altri casi.

Successivamente, il decreto legislativo n. 135/99 interveniva a modificare l’impostazione della L. n. 675/96, circa il trattamento e l’accesso ai dati sensibili. Tale intervento di modifica ha portato all’introduzione della distinzione tra dati sensibili e “super sensibili”: quest’ultimi infatti vanno distinti dai primi, in quanto concernenti la salute, la vita sessuale e i dati generici (ad esempio le impronte digitali, le rilevazioni antropometriche). Il suddetto decreto ha proposto la seguente soluzione: in presenza di documenti contenenti dati sensibili, l’accesso rimane consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile (art. 24 comma 1 L. 241/90); invece nel caso dei dati super sensibili l’accesso è consentito quando la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato (ossia della persona a cui si riferiscono i dati sulla salute), ovvero consiste in un diritto della personalità od in una libertà fondamentale ed inviolabile.

Il successivo avvento del decreto legislativo n. 196/2003 (codice della privacy), non ha introdotto importanti cambiamenti nell’ambito dell’applicazione del diritto d’accesso e del suo contemperamento con l’esigenza di garantire la riservatezza. Infatti, con l’art. 59 il decreto de quo ha disposto che il diritto di accesso ai documenti contenenti dati personali o sensibili e le operazioni di trattamento eseguibili in conseguenza di una domanda di accesso restino disciplinati dalla legge n. 241/90 e dalle altre disposizioni in materia, riconfermando, inoltre, che le attività di accesso e di trattamento si dovevano considerare di rilevante interesse pubblico.

Infine, si deve dar conto dell’intervento della L. n. 15/05, la quale ha costituito il punto di arrivo del percorso fino ad ora illustrato. Tale legge infatti ha modificato la disciplina del diritto di accesso contenuta nella L. 241/90, attraverso la sostituzione integrale delle precedenti disposizioni contenute negli artt. 22 e 23. Più in particolare, la L. n. 15 ha innovato la precedente disciplina attraverso l’inserimento di una serie di definizioni: sono stati così chiariti  i concetti di “diritto di accesso”, soggetti “interessati” e “controinteressati”, di “documento amministrativo” e “pubblica amministrazione”.

Inoltre la recente riforma, modificando la disciplina del rapporto tra diritto di accesso e tutela della riservatezza, ha finito con l’incidere, in particolar modo, sul novero degli atti non accessibili: “Con specifico riferimento ai rapporti tra accesso e riservatezza, quindi, la nuova disciplina contenuta nell’art. 24 della l. n. 241 del 1990, come sostituito dall’art. 16 l. n. 15 del 2005, appresta al primo una tutela più ampia che in passato, sotto due distinti profili: a) l’individuazione dei casi in cui l’accesso può essere escluso per ragioni, tra l’altro, di riservatezza deve aver luogo con il regolamento governativo [comma 6 lett. d)], mentre alle singole amministrazioni viene sottratta ogni potestà d’intervento in materia. Tale conclusione si trae inequivocamente dalla scomparsa, nel nuovo testo normativo, della disposizione in precedenza contenuta nel comma 4 (obbligo per le singole amministrazioni “di individuare con uno o più regolamenti da emanarsi entro i sei mesi successivi le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso per le esigenze di cui al comma 2”), mentre la nuova similare disposizione ora introdotta nel comma 2 (“Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1”) è tuttavia riferita alle sole ipotesi di cui al comma 1, tra le quali non rientra la tutela della riservatezza». […] b) mentre nell’originaria versione dell’art. 24, secondo quanto prevedeva il comma 2 lett. d), l’accesso a documenti riservati era limitato alla sola visione degli atti amministrativi necessari alla cura dei propri interessi, nell’attuale versione dell’art. 24, come sostituito dall’art. 16 l. n. 15 del 2005, tale previsione è stata sostituita dal nuovo comma 7, a mente del quale “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”: la tutela dell’istante, prima limitata alla visione degli atti, viene quindi estesa all’onnicomprensivo concetto di “accesso” che – secondo la definizione contenuta nell’art. 22 comma 1 lett. a) l. n. 241 del 1990, come sostituito dall’art. 15 l. n. 15 del 2005 -, include sia la visione degli atti che l’estrazione di copia[3].

Quindi, l’accesso agli atti contenenti dati personali di soggetti terzi, oggi è in linea di principio escluso dall’art. 10 comma 5 del codice in materia di protezione dei dati personali (D.L.vo 30 giugno 2003 n. 196), in base al quale: “Il diritto di ottenere la comunicazione in forma intellegibile dei dati non riguarda dati personali relativi a terzi, salvo che la scomposizione dei dati trattati o la privazione di alcuni elementi renda incomprensibili i dati personali relativi all’interessato”. Ad ogni modo, qualora l’accesso sia richiesto ad una Pubblica amministrazione, gli art. 19 e 59 del suddetto Codice rinviano alla disciplina contenuta nella L. n. 241 del 1990, la quale a sua volta prevede che l’Amministrazione effettui una ponderazione tra elementi contrapposti ovvero tra trasparenza e riservatezza.

Pertanto, dalla normativa esaminata, risulta un quadro piuttosto eterogeneo dei rapporti tra il diritto di accesso e la tutela della riservatezza, nell’ambito del quale il principale criterio risolutore del potenziale conflitto tra i due diritti è dato proprio dalla natura del dato trattato, in quanto più il dato presenta i caratteri della sensibilità e più il diritto di accesso al documento che lo contiene risulta compromesso.

 2.- La partecipazione al procedimento di accesso dei controinteressati.

Come si è già avuto modo di illustrare, la novella del 2005, nel ridefinire la disciplina del diritto di accesso ha introdotto chiare definizioni dei soggetti interessati e soprattutto dei soggetti controinteressati. L’art. 22 L. 241/9 definisce i “controinteressati” come: “i soggetti individuati o facilmente individuabili, in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”.

Così, ogni qual volta l’Amministrazione ritenga un documento ostensibile in base alla normativa sul diritto di accesso agli atti, dovrà tenere presente la figura dei “controinteressati”. Come è noto, l’art. 3 del D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184 (Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi) ha regolato la partecipazione al procedimento di soggetti eventualmente controinteressati, stabilendo che la Pubblica amministrazione cui viene indirizzata una richiesta di accesso, quando individui dei soggetti controinteressati, sia tenuta a darne comunicazione agli stessi, mediante invio di copia per raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica (per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione). I soggetti controinteressati devono essere individuati tenuto conto anche degli atti e documenti connessi a quelli già oggetto della richiesta. 

L’art. 5 comma 6 del D.P.R. 184/2006 ha inoltre previsto che in presenza di soggetti controinteressati, l’istanza di accesso non possa essere recepita in via informale, poichè in tali casi infatti l’Amministrazione dovrà sempre invitare l’istante alla presentazione di una richiesta scritta e formale.

La previsione che onera l’Amministrazione a provvedere all’integrazione del contraddittorio nella fase procedimentale è stata inserita su specifica indicazione del parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 13 febbraio 2006, proprio sul rilievo che l’originaria  soluzione proposta dal Governo, che poneva l’onere a carico del soggetto richiedente, era da ritenersi eccessivamente onerosa e impeditiva di un effettivo esercizio del diritto di accesso. Per cui, come può constatarsi da quanto sino ad ora esposto, quello dei controinteressati è un problema rimesso all’Amministrazione sia sotto il profilo della loro individuazione che con riguardo alla chiamata nel procedimento.

L’art 3 del decreto, al pari dell’art. 22 della L. 241/90, fa soltanto un generico riferimento alla riservatezza dei terzi, senza porre attenzione alla distinzione fra dati personali comuni, sensibili o supersensibili; pertanto ci si domanda se la comunicazione di che trattasi sia necessaria ogni qual volta l’istanza coinvolga soggetti terzi, senza possibilità per l’Amministrazione di valutare a priori l’effettiva utilità dell’intervento nel procedimento ovvero se il momento partecipativo debba ammettersi per la tutela  dei soli dati sensibili e supersensibili.

Tale dubbio potrebbe essere sciolto, facendo ricorso ad un principio, considerato ormai pacifico, sancito peraltro dall’art. 21 octies, comma 3 secondo periodo, L. n. 241/90, in base al quale la partecipazione al procedimento amministrativo costituisce uno strumento di trasparenza allorquando l’intervento del controinteressato può influire sul contenuto del provvedimento, finendo invece per trasformarsi in un inutile appesantimento burocratico, quando lo stesso “provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Pertanto, un ragionamento di buon senso imporrebbe di ritenere applicabile il suddetto principio anche al procedimento di accesso e, in special modo ai casi in cui l’istanza di accesso pur riferendosi a documenti contenenti dati personali non sensibili, sia comunque accoglibile ex art. 24 comma 7 L. 241/90, per la sussistenza di un interesse secondo i requisiti di legittimazione “rafforzati” previsti dalla stessa norma.

Quello che qui si intende suggerire, cioè, è che la comunicazione al controinteressato, la quale rappresenta un ulteriore aggravio di lavoro per l’Amministrazione, in particolar modo in tutti  quei casi in cui siano coinvolti una molteplicità di controinteressati, dovrebbe rendersi necessaria, certamente nei casi in cui i documenti di cui viene richiesto l’accesso contengano, dati sensibili o super sensibili, ma non anche nelle ipotesi in cui si tratti di semplici dati comuni.

Si aggiunga inoltre che la posizione di controinteressato non va ancorata al solo dato formale della menzione del soggetto negli atti e nei documenti cui si riferisce l’accesso ovvero al dato estrinseco che gli atti e i documenti riguardino tale soggetto, ma anche al dato sostanziale della serietà e meritevolezza della tutela della posizione del controinteressato all’accesso (per esempio occorre valutare la sussistenza della fondatezza di un’eventuale opposizione da parte di quest’ultimo soggetto). In tal senso, di recente, si registrano alcune interessanti pronunce giurisprudenziali che ben distinguono la figura del controinteressato: “sono controinteressati non tutti coloro che, a qualsiasi titolo, sono nominati o coinvolti nel documento oggetto dell’istanza ostensiva, ma solo coloro che per effetto dell’ostensione vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza”, pur non potendosi sottovalutare l’ampliamento e la progressiva importanza assunta dal diritto alla riservatezza, il Collegio ritiene, tuttavia, che tale situazione giuridica concerna solo quelle vicende collegate in modo apprezzabile alla sfera privata del soggetto, e non anche a quelle destinate ad assumere un carattere pubblico[4]; “La nozione di controinteressati va interpretata in senso sostanziale e non formale, nel senso che i controinteressati sono soggetti individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che all’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza, indipendentemente dalla menzione formale nell’atto, eventualmente pregiudizievole[5].

Quindi sono controinteressati non tutti i soggetti contemplati o riguardati dall’atto ma solo quelli che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza.

 3.- L’opposizione del controinteressato.

Infine, si può passare a vedere quali sono le caratteristiche dell’opposizione che può provenire da parte del controinteressato. Come si è già illustrato, quando l’operatore della P.A. si trovi di fronte ad una richiesta di accesso ed individui una possibile lesione della riservatezza, deve provvedere a notificare l’avvenuta richiesta di accesso a tutti gli eventuali controinteressati. Dal giorno della ricezione di tale comunicazione, i controinteressati hanno 10 giorni di tempo per presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla relativa richiesta di accesso; qualora il controinteressato non risponda entro il suddetto termine, la P.A. potrà legittimamente decidere in merito alla richiesta.

I soggetti controinteressati che abbiano intenzione di opporsi ad una richiesta di accesso che potrebbe comportare la lesione  del loro diritto alla riservatezza, possono presentare documenti e memorie alla P.A., che quest’ultima ha l’obbligo di  valutare laddove siano pertinenti all’oggetto del procedimento. Pertanto, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza, le memorie dovranno illustrare in modo esauriente e circostanziato le ragioni che il terzo intende far valere, perché in caso contrario la partecipazione darebbe luogo ad un inutile aggravio procedimentale, traducendosi in comportamenti meramente emulativi. Inoltre, qualora le memorie non siano sufficientemente circostanziate l’Amministrazione non potrà nemmeno tenerne proficuamente conto nella redazione del provvedimento terminale.

E’, così, evidente, che la proposizione di un’istanza di accesso determina a sua volta l’avvio di un procedimento amministrativo, con conseguente dovere dell’Amministrazione di inviare la relativa comunicazione ai controinteressati; trattasi in effetti di un adempimento non da poco, specie nei casi in cui siano coinvolti molti soggetti che vantino un interesse opposto a quello di chi ha presentato l’istanza. La predetta comunicazione dovrà ovviamente contenere tutte le informazioni che possano essere utili al controinteressato per individuare il soggetto che propone la richiesta, le motivazioni e i documenti di cui richiede l’accesso.

Nella pratica l’applicazione della disciplina sin qui illustrata risulta molto difficile. La comunicazione al controinteressato è un’operazione che richiede tempi molto brevi, infatti, nessuna sospensione del termine massimo di trenta giorni (per rispondere all’accesso) è determinata dall’eventuale necessità di coinvolgere nel procedimento il controinteressato e di assegnarli dieci giorni per l’opposizione. Inoltre, la comunicazione al controinteressato deve essere eseguita a mezzo di lettera raccomandata, pertanto occorre tener conto della tempistica postale, dal momento che è dalla data di ricevimento della raccomandata che decorre il termine di 10 giorni. Al contrario, molto spesso la P.A. impiega troppo tempo nell’istruire la pratica, tanto da essere costretta a superare il termine di trenta giorni entro il quale rispondere alla domanda di accesso, oppure a non poter assegnare il termine di cui al D.P.R. n. 184/2006 ai controinteressati ovvero a non coinvolgerli affatto nel procedimento.

A questo proposito, il problema da porsi è quali siano le conseguenze nel caso di mancata comunicazione all’interessato. E’ evidente che concedere in visione i documenti senza aver assegnato il termine previsto dalla legge per l’opposizione ovvero senza che vi sia stata alcuna comunicazione potrebbe configurare una grave violazione alla privacy ed alla riservatezza del terzo, oltre che determinare una responsabilità della P.A. sotto il profilo risarcitorio. Infatti, pur in assenza di una specifica comminatoria di illegittimità, considerata la notevole importanza che tale adempimento riveste, si deve ritenere che in tali casi l’accesso, laddove consentito, sia illegittimo e che ove fosse annullato da un giudice amministrativo, tale annullamento aprirebbe la strada ad una domanda di risarcimento da parte del controinteressato, il quale ritenga sia stato leso un suo diritto. In verità la domanda risarcitoria, a ben vedere, potrebbe anche ben prescindere dall’eventuale annullamento della decisione di consentire l’accesso, posto che il soggetto che reputa violata la sua sfera di riservatezza può dedurre l’esistenza del pregiudizio sol per effetto dell’avvenuta ostensione dei documenti che si sarebbero, invece, dovuti segretare.

Ciò posto, non può comunque condividersi la prassi, a volte invalsa, di sottrarre indiscriminatamente all’accesso tutti i documenti di cui il controinteressato chieda la segretazione. Come si è già avuto modo di illustrare, a fronte di un opposizione del controinteressato, la P.A. deve sempre verificare se risultino effettivamente fondati i rischi addotti di violazione della riservatezza. L’opposizione non deve mai essere il pretesto per un (illegittimo) diniego all’accesso.

In conclusione, la tutela del controinteressato, notevolmente implementata grazie ai recenti sviluppi normativi, non esime l’Amministrazione dal verificare da un lato l’effettività delle ragioni di riservatezza che vengono addotte e, dall’altro, la sussistenza di esigenze del soggetto istante all’accesso, prevalenti rispetto alla privacy, come il bisogno di tutelarsi in sede giurisdizionale.

 

 

 


[1] G. TULUMELLO, Brevi note sull’attuale disciplina dell’accesso agli atti amministrativi, Giur. merito 2007, 01, 6.

[2] Di recente, sul tema generale della posizione giuridica rivestita da chi insta per l’accesso, cfr. R. MURRA, L’accesso agli atti, in S. COGLIANI, Corso di diritto amministrativo, Padova, 2009, 278 ss.

[3] Cfr. Tar Piemonte, Sez. II, 25 febbraio 2006 n. 1127.

 

[4] Cons. Stato, Sez. VI, 25 giugno 2007 n. 3601.

 

[5] Cfr. Tar Campania Napoli, Sez. V, 4 gennaio 2007 n. 39. Il caso esaminato dal Tar Campania riguardava il diniego opposto dall’Amministrazione ad una richiesta di accesso di alcuni dipendenti ministeriali che avevano presentato istanza  di partecipazione ad un corso-concorso di progressione professionale a cui però non erano stati ammessi. Così, al fine di verificare la regolarità della procedura, i ricorrenti avevano presentato richiesta di accesso agli atti, chiedendo di poter visione ed estrarre copia dei documenti relativi alla procedura concorsuale. L’Amministrazione negava l’accesso, in quanto nessuno degli interessati era stato ammesso a partecipare alle procedure concorsuali e quindi nessuno di loro poteva avere un interesse diretto, concreto ed attuale all’accesso richiesto. Nel caso di specie, il Tar Campania ha ritenuto altresì non necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei soggetti cui si riferivano gli atti oggetto della domanda di accesso, poiché l’Amministrazione, avendo rigettato l’istanza di accesso, non aveva applicato l’art. 3 D.P.R. n. 184/2006 e dunque non aveva così provveduto alla notifica, ivi prevista, ai controinteressati. In tale circostanza, infatti, il Tar ha osservato che tali soggetti comunque non apparivano portatori, rispetto ai suddetti documenti, di un controinteresse sostanziale, fondato e meritevole di tutela, atteso che nessuna compromissione del loro diritto alla riservatezza sarebbe potuta derivare dal predetto accesso, trattandosi di atti di gestione del rapporto di pubblico impiego privatizzato destinati comunque ad essere resi pubblici e dunque accessibili nell’ambito della strutturazione organizzativa dell’Amministrazione, rispetto ai quali non si ravvisano seri profili di riservatezza tutelabili in capo ai terzi.

 

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